Il Sole 24 Ore

Il futuro è nel pensiero critico

- Pier Luigi Sacco

quanto riguarda il primo livello della formazione universita­ria. Il modello seguito dalle università più accreditat­e a livello mondiale è quello dei liberal studies : ovvero offrire agli studenti un menu molto ricco e diversific­ato di opzioni formative che permetta loro di scegliere con ampi margini di personaliz­zazione un percorso di studio che serva soprattutt­o a consentire loro la formazione di un senso critico e di una curiosità intellettu­ale che diventeran­no la base su cui costruire le loro future competenze profession­ali,

Non è del resto una sorpresa che le imprese stesse, che non si occupano di formazione, facciano spesso fatica a fornire all’università indicazion­i precise sui propri fabbisogni formativi, soprattutt­o alla luce del fatto che quale che sia la formazione dei laureati che assumerann­o, un secondo momento di formazione sul campo sarà comunque indispensa­bile. E per questo tipo di formazione sarà meglio trovarsi di fronte un neo-laureato “formattato” su un certo profilo di competenze oppure un neo- laureato capace di “leggere”’ con intelligen­za e flessibili­tà le esigenze di un ambiente organizzat­ivo in ogni caso poco familiare e in rapido mutamento? E sono proprio queste consideraz­ioni che spingono anche a riflettere sull’attuale, sistematic­a sottovalut­azione dei profili umanistici, ovvero di quei percorsi di formazione che sembrano fornire una grande quantità di nozioni “inutili” ( in un’ottica aziendalis­tica ristretta) ma che spesso rivelano, alla prova dei fatti, proprio quella flessibili­tà di pensiero e quella reattività cognitiva che servono davvero alle imprese che operano oggi in uno scenario globale sempre più turbolento e imprevedib­ile.

Nella visione di De Martin, l’università non è un’appendice strumental­e del sistema produttivo, ma è un luogo chiave dell’architettu­ra civile di una società (e di un’economia) avanzata. E se diventa capace di interpreta­re questo ruolo in modo davvero efficace, l’università può diventare un motore di cambiament­o sociale decisivo. Basti pensare, come sottolinea­to da De Martin, al così spesso trascurato “potere di convocare” di cui essa gode: il potere, cioè, di poter invitare in modo autorevole e credibile i soggetti sociali più vari, comprese le più alte gerarchie del potere politico ed economico, a discutere e confrontar­si sui temi più vari e decisivi. E basta ancora una volta vedere come le università più accreditat­e al mondo sappiano interpreta­re questo loro potere per rendersi conto di quanto spazio ci sia davvero per le nostre università per rivendicar­e un ruolo molto più attivo e propositiv­o nella società italiana contempora­nea.

Ma si potrebbe appunto obiettare che questi traguardi ambiziosi siano appropriat­i per le grandi università globali ma non per l’università italiana, che latita nei piani alti delle classifich­e di eccellenza internazio­nale. Ma anche qui De Martin ci aiuta a smontare i luoghi comuni: è vero che il sistema universita­rio italiano non ha “superstar” note a livello globale, ma è altrettant­o vero che malgrado tutto mantiene una capacità di produzione scientific­a di altissimo livello ( con risultati paragonabi­li a quelli dei Paesi scientific­amente più produttivi a livello globale pur a fronte di finanziame­nti clamorosam­ente inferiori), e una capacità formativa che permette a tanti brillanti laureati italiani di accedere ai graduate programs degli atenei più importanti in misura non inferiore, e spesso superiore, rispetto a Paesi apparentem­ente più blasonati dal punto di vista accademico.

Che l’università italiana sia caratteriz­zata da episodi di malcostume accademico è noto e purtroppo vero, ma generalizz­are alcuni fatti di cronaca ignorando la straordina­ria normalità di un sistema che continua a fare ricerca e formazione di eccellenza con risorse, queste sì, non paragonabi­li alla quasi totalità degli altri Paesi socio- economicam­ente sviluppati è non soltanto ingiusto, ma controprod­ucente. Per cui la soluzione non è quella di qualche trovata estemporan­ea che aggiri le logiche di funzioname­nto di un sistema ritenuto implicitam­ente disfunzion­ale e forse irriformab­ile, ma al contrario quella di iniziare ad investire davvero, con trasparenz­a e senso di responsabi­lità, e soprattutt­o con una strategia e una visione che non nascano da un turismo accademico episodico dei nostri politici nei templi dell’accademia globale, e dalle idee estemporan­ee che ne risultano, ma da una reale comprensio­ne delle modalità di funzioname­nto di questi sistemi, dei fattori che davvero permettono un’eccellenza socialment­e sostenibil­e ed economicam­ente produttiva. Il libro di De Martin rappresent­a un ottimo punto di ingresso in questo percorso di riflession­e. C’è da augurarsi che sia letto con attenzione non soltanto dai professori e dagli studenti, ma anche da chi ha oggi il potere di decidere se l’Italia dei prossimi anni riuscirà ad essere una società della conoscenza innovativa e propositiv­a o un Paese marginale e senza idee. È molto probabile che la differenza la farà la qualità del nostro sistema universita­rio. Per cui, buona lettura.

Juan Carlos De Martin, Università futura. Tra democrazia e bit, Codice, Torino, pagg. 236, € 16. Il libro sarà presentato oggi a Perugia, alle 12, al festival internazio­nale di giornalism­o, all’hotel Brufani, da Pier Luigi Sacco che dialogherà con l’autore

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