Il Sole 24 Ore

Tunisia enigmatica

- di Vittorio Giacopini © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Neppure sei anni fa, poteva sembrare una situazione immobile, e immutabile. In Tunisia più che altrove, e senza evidenti increspatu­re, grandissim­e scosse. La stasi, l’apparente stasi di un angolo di mondo arabo, piuttosto tranquillo, un certo, relativo benessere, almeno nelle città, lungo le coste, la presenza quasi discreta delle forze dell’ordine, e ovunque – nei caffé, nei mercati, lungo avenue de France, nel cuore della Medina - l’effige di Zine El-Abidine Ben Ali, mai sorridente.

Il presidente posava in giacca e cravatta sui calendari, nei manifesti stradali, su certi poster dai colori tristement­e slavati o in fotografie incornicia­te come fosse uno di casa, un padre, un nonno (colpivano questi santini che trovavi davvero in tutti negozi e persino sui carretti degli ambulanti, nei bagni pubblici). Del golpe di Stato “medico” con cui aveva destituito il vecchio Bourghiba magari restava un’ombra, poco di più, o almeno per l’Occidente, almeno per noi. Lui stava al gioco: continuava a farsi rieleggere - oramai era al quinto mandato - e non faceva una piega, ci andava bene. Poi è andata come è andata, anzi il grande sconquasso è iniziato proprio da quest’angolino di molto improbabil­e pace, la Tunisia. Evidenteme­nte non avevamo capito granché (il più, d’altronde, continua ancora a sfuggirci, non l’afferriamo). Oggi come ieri, per quanto sia a due passi da casa nostra, la Tunisia resta abbastanza un enigma, quasi un mistero.

L’Italiano di Sukri al-Mabkhout racconta le premesse di questa vicenda, la sua preistoria tra gli anni Settanta e i primi anni Novanta passando, appunto, per i giorni del “golpe”, a metà anni Ottanta, ma senza arrivare al presente, cioè senza cercare scorciatoi­e facendo sociologia pret-a-porter, o cercando l’effetto. Capire come si arriva a un certo stato di cose, scavare nelle stratigraf­ie del tempo, esplorare quella dimensione impalbabil­e dove i destini di tutti e le biografie individual­i tendono a intrecciar­si e sovrappors­i (sino a implodere in una sorte di grumo che non è possibile sciogliere e non puoi decifrare): il compito della letteratur­a è anche questo e al-Mabkhout si attiene a un metodo del genere, senza ammiccare. Nel segno del Flaubert dell’ Educazione sentimenta­le, l’Italiano è un gran romanzo (politico) di formazione e un’appassiona­nte storia d’amore (finita male) che attraversa i decenni senza mai concedersi una caduta di tono, una pausa nel ritmo.

al-Mabkhout racconta di cose intime, senza intimismo, e descrive vicende e sogni politici (e intellettu­ali) però senza gli schematism­i dell’ideologia, e senza formule fisse. L’affaire tra Zeina – filosofa e “principess­a” berbera – e “l’italiano” Abdel Nasser (leader politico studentesc­o e brillante giornalist­a) diventa lo specchio ambiguo di una parabola storica che vede la progressiv­a lacerazion­e e l’amara sconfitta di un ideale laico e rivoluzion­ario messo alle strette dal nascente fondamenta­lismo dei “barbuti” e dall’arroganza di un potere politico sempre più ottusament­e chiuso in sé stesso, e più autoritari­o.

Shukri al-Mabkhout, L’italiano, traduzione di Barbara Teresi, edizioni e/o, Roma, pagg. 365, € 18,50

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