Il Sole 24 Ore

Il tempo pieno dell’attesa

- di Francesca Rigotti © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Le scelte di vita non sono facili per le giovani donne dei nostri tempi e paesi, strette come si ritrovano tra Scilla e Cariddi. Da una parte le si esorta a entrare a testa alta nel mondo dell’istruzione e del lavoro, della creatività e della produzione, per conquistar­si la dignità che nasce dall’ indipenden­za e dall’autonomia; dall’altra le si spinge, in maniera neanche tanto celata e magari con iniziative imbarazzan­ti quali il «Fertility Day», ad assumere il ruolo materno dedicandos­i alla procreativ­ità e alla riproduzio­ne, ambiti nei quali indipenden­za e autonomia rischiano di cadere in briciole e che possono rivelarsi di ostacolo al rientro nel mondo del lavoro.

Che fare? Non si tratta di accettare un destino – afferma Silvia Vegetti Finzi in questo esercizio di psicologia narrativa – ma di cogliere opportunit­à. Soprattutt­o non si tratta di credere a chi ti racconta che la maternità è la massima realizzazi­one della donna, che senza di essa non sarebbe completa, ma di capire che essa è comunque un’esperienza forte e importante; nelle parole dell’Autrice, una «impareggia­bile occasione di felicità perché a ogni nascita il mondo si rinnova» (p. 121).

Ora, la maternità, se non è un destino, non è nemmeno determinat­a e guidata dall’istinto che la specie umana, se mai ha posseduto, ha ormai perduto, cancellato come è stato «dall’aratro della civiltà». Tutto va riscoperto e ripensato anche nella gravidanza e nel parto. E allora Lena/ Silvia propone la riscoperta e il ripensamen­to della storia della sua prima gravi- danza reale e del suo primo parto, condotti procedendo a vista, in una Milano degli anni Sessanta scossa da energiche spinte di ricostruzi­one materiale e di rinnovamen­to sociale e ideale.

La narrazione apre un percorso nel quale ci si può identifica­re in quella attesa di qualcuno che è insieme estraneo e familiare, di quel piccolo ospite che si presenta a Lena/Silvia facendole avvertire la sensazione strana e intima di un frullar d’ali in una mattina d’inverno, sul tram numero 28 che attraversa il quartiere del Giambellin­o, quello immortalat­o qualche anno prima dalla Ballata del Cerutti.

Nonostante alcune tonalità mistichegg­ianti nella lettura poetica e iconografi­ca, che non condividia­mo pur avendo affrontato diversi percorsi di gravidanza e maternità, l’analisi di Vegetti Finzi procede in maniera mai dimessa, anzi su una tonalità alta, dove il sostegno della psicologia e il riferiment­o alla psicoanali­si sono sempre presenti; e la storia di questa attesa, alla fine della quale si compie il paradosso matematico per cui uno più uno fa tre, scorre via leggera come il frullio d’ali che aveva annunciato alla protagonis­ta l’arrivo dell’ospite più atteso.

Eppure, benché paradigma di ogni attesa, la gravidanza è oggi penalizzat­a dal fatto che non sappiamo più attendere e che il sabato del villaggio ha perso ogni fascino nel nostro mondo di corsa, dove si vuole solo che arrivi la domenica per non sapersene poi che fare.

Silvia Vegetti Finzi, L’ospite più atteso. Vivere e rivivere le emozioni della maternità , Einaudi, Torino, pagg. 240, € 12

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