Curare il trauma e ripararlo con l’oro
(che vuol dire letteralmente “riparare con l’oro”), che prevede di incollare i frammenti rotti e di spolverare le crepe visibili con polvere d’oro. L’esito finale è un vaso con striature d’oro che lo rendono nuovo, diverso, unico. Una causa accidentale e/o traumatica può portare alla rottura del vaso, ma la tecnica di riparazione, che valorizza le crepe e non le nasconde, può renderlo ancora più bello e prezioso. Come le stelle che rendono più bello e prezioso il cielo, se è vero che «le stelle sono le cicatrici dell’universo» (R. Maye). Le crepe del vaso, come le nostre rughe o le ferite fisiche e dell’anima, se da un lato non vanno cercate con atteggiamenti masochistici o con fare stupidamente spavaldo, dall’altro non dovrebbero essere nascoste né mimetizzate. Dare valore agli effetti di un dolore (fisico e non), partire da esso per rinascere più belli e più forti anche se non perfettamente integri, è l’unico modo di ricomporre la nostra personale armonia, fisica e mentale. Il dolore dovuto a una ferita non è dolore sterile del quale vergognarsi. Esso fa parte della storia personale di ciascuno di noi e ha un significato. La sua accettazione porta alla rimarginazione della ferita che può diventare punto di partenza per innescare processi di rigenerazione e di rinascita del corpo e di ripresa interiore trasformando la nostra storia e rendendoci persone nuove. «Le anime più forti sono quelle temprate dalla sofferenza. I caratteri più solidi sono cosparsi di cicatrici» (K. Gibran).