Bentornato Buffalmacco
Nel pomeriggio del 27 luglio 1944 (i tedeschi in ripiegamento verso le Linea Gotica si stavano velocemente sganciando dal fronte dell’Arno) uno spezzone incendiario americano colpì il Camposanto monumentale di Pisa e il fuoco bruciò per tre giorni e per tre notti. Migliaia di metri quadrati di affreschi coprivano le pareti. Era la più importante antologia della pittura toscana dei grandi secoli: da Buonamico Buffalmacco (all’epoca conosciuto come “Maestro del Trionfo della Morte”) ad Andrea da Firenze ad Antonio Veneziano a Taddeo Gaddi, da Spinello Aretino a Piero di Puccio e a Benozzo Gozzoli. L’incendio aveva decoeso, consumato, “cotto” e alterato gli affreschi nella loro composizione chimica trasfigurando i colori e le immagini come per una orribile mutazione. Per Cesare Brandi, giovane direttore dell’Istituto Centrale del Restauro arrivato a Pisa con mezzi di fortuna l’11 settembre del ’44, era quella la ferita più grave inferta dalla guerra al patrimonio artistico italiano.
Da allora e per poco meno di settanta anni generazioni di storici dell’arte (da Piero Sampaolesi a Ugo Procacci a Umberto Baldini) e generazioni di restauratori (da Amedeo Benini a Leonetto Tintoria a Gianni Caponi) si sono occupati degli affreschi del Camposanto staccandoli, facendo emergere le sinopie oggi collocate in museo, sistemandoli su supporti che all’epoca sembravano adeguati.
Il problema vero era la restituzione in parete delle pitture anche quando ridotte, come nel caso del ciclo di Benozzo Gozzoli, all’ombra dell’ombra della loro immagine originaria. Perché – scrisse Brandi nel ’58 – «il Camposanto pisano senza gli affreschi sembra visto di rovescio... dove era il luogo degli affreschi asportati, le grandi pareti squallide, sebbene inalterate, non sono più le stesse, in quanto alla loro stessa qualificazione spaziale la decorazione pittorica era essenziale».
La decisione fu presa in un convegno tenuto nella sede della Primaziale pisana nel Marzo del 2008. Gli affreschi, tutti gli affreschi, nessuno escluso, andavano ricollocati in parete; naturalmente ripuliti e integrati dove e quando necessario, fornendoli di nuovi supporti dalla temperatura regolabile grazie a sensori computerizzati così da evitare effetti di condensa della umidità durante l’inverno, naturalmente assicurando al contenitore monumentale condizioni climatologiche adeguate.
A guidare la squadra degli operatori (circa dieci unità) sono stati chiamati Gianluigi Colalucci, il restauratore della Cappella Sistina, e Carlo Giantomassi, coadiuvati da specialisti nella scienza della conservazione quali Mauro Matteini, Paolo Mandrioli, Ulderico Santamaria. Il rimontaggio degli affreschi, iniziato da qualche anno (la conclusione è prevista per la fine del 2018) procede con buona lena.
Il sistema iconografico che abitava il Camposanto dei pisani, torna a poco a poco ad essere comprensibile. Qui, nella terra portata dai Luoghi Santi, venivano seppelliti i cittadini eminenti. Qui si dispiegava per loro la Via Salutis, quell’immortale altrove che li aspettava dopo la morte.
C'era, forse di Giottino ed oggi totalmente perduta, la Vergine Assunta che è Madre di Misericordia e Porta del Cielo. C’è il Santo intercessore Ranieri, patrono di Pisa, negli affreschi di Andrea da Firenze e di Antonio Veneziano, mentre le storie dei santi martiri Efisio e Potito le cui reliquie si conservano in duomo, sono dipinte da Spinello Aretino. La vita significa per tutti imprevisti, disavventure e prove, a tutti richiede pazienza e sopportazione. Ed ecco le storie, molto frammentarie, di Giobbe dipinte da Taddeo Gaddi. Mentre tutto nella storia della Salvezza allude al tempo dell’Attesa e prefigura la venuta di Cristo SalvatorRe. Come è testimoniato nelle storie dell’Antico Testamento, affreschi estremamente deteriorati di Piero di Puccio e di Benozzo Gozzoli.
Naturalmente c’è per ogni credente il Giudizio con l'Inferno e con il Paradiso. Tutti però devono sapere che in Paradiso si entra per la porta stretta, per la porta della povertà e della penitenza come insegna la vita dei santi anacoreti i quali vincono la Morte che pure è la signora di questo mondo e consuma nell’orrore e nella putredine la gloria dell’amore e lo splendore della giovinezza. Tutta la parte apocalittica dei murali del Camposanto ( Trionfo della Morte, Vita dei Santi Padri, Giudizio, Inferno e Paradiso) è opera di Buonamico Buffalmacco come ha dimostrato Luciano Bellosi in un saggio memorabile del 1974.
Il protagonista di alcune delle novelle più gustose del Boccaccio, era un pittore di rango, citato dal Ghiberti, documentato a Pisa nel 1336. Era un artista girovago Buonamico Buffalmacco, attivo a Pisa, a Firenze, nella città e nel contado, ma anche a Bologna. Apparteneva a quella linea stilistica che Bellosi ha definito della «dissidenza dalla visione giottesca» e che lo avvicina, fra gli altri, a grandi maestri contemporanei quali il cosiddetto “Maestro di Figline” e Lippo di Benivieni. Giotto aveva insegnato che il Vero (il Vero di natura ma anche quello emotivo e psicologico, il vero delle «attitudini e degli affetti» dirà Giorgio Vasari) sta dentro lo spazio misurabile. Buffalmacco spinge il dato naturalistico verso esiti eccentrici ed ultraespressivi. Qui stanno le ragioni del fascino di affreschi che sembrano contraddire l’ordine e la norma fiorentini per anticipare il patetismo veemente, il Gotico fiammante e disarticolato di Vitale e dei bolognesi.
Insomma, se c’è un’opera d’arte che può farci intendere la varietà e la qualità dei talenti e delle tendenze che attraversano il Trecento, il vero grande secolo degli italiani, questa è rappresentata dagli affreschi pisani di Buffalmacco.
Recentemente nei Laboratori dell’Opera del Duomo di Pisa, è stato presentato il restauro di intere porzioni degli affreschi di Buffalmacco: il Giudizio Universale e l’Inferno. È consolante accorgersi che i procedimenti adottati (in particolare l’uso di batteri “intelligenti” che “mangiano” la caseina usati negli interventi del dopoguerra) sta dando risultati eccellenti.
Possiamo dire (questa è una grande notizia per la storia dell’arte italiana) che gli affreschi del Trionfo della Morte, relativamente meno danneggiati dall’incendio del ’44 rispetto alle pitture murali degli altri autori, ancora con la loro “pelle” pittorica in buona parte intatta, presto potranno essere restituiti al meglio della leggibilità e della godibilità possibili.