Drammi di donne passionali
Emma lo sa: conosce troppo bene la macchina del teatro, per non aver sperimentato che è più facile commuovere, se prima si è sorriso. Che il dolore al femminile ha sempre dietro una punta di ironia. Che la compassione è il sentimento che illustra la morte. Lo sa Emma Dante, e per questo nuovo insolito dittico, che appaia le differenti intensità di Voix humaine di Poulenc e Cavalleria rusticana di Mascagni, al debutto stasera al Comunale di Bologna, sceglie un registro narrativo preciso: drammatico, con qualche guizzo di sarcasmo.
Così il telefono, nel monologo geniale di Poulenc, non ha più il tradizionale filo lunghissimo (quanto le parole del libretto di Jean Cocteau) dove lei affranta si dovrebbe avvolgere: il filo qui è spezzato. Ciondola penzoloni alla cornetta. Ed è stata proprio la protagonista, una meravigliosa Anna Caterina Antonacci, a farlo a pezzi. Dicendoci tutta l’assurdità, la follia, di questa delirante telefonata a un uomo che non c’è. Non solo perché l’ha lasciata, ma anche perché lei, Elle, l’ha ucciso. Col filo del telefono.
Forse non lo ha fatto realmente. Forse lo ha solo immaginato, in uno dei tanti fanta-
smi che affollano la sua mente; bozzetti veri, nella sua stanza candida di ospedale psichiatrico. Signora bene, dell’elegante “allure” parigino, la Antonacci modella un personaggio sempre più drammatico e spolpato. Mentre la voce dal canto di parola (ed è un magnetico francese il suo) si fa parola nuda.
In Poulenc lei non è prevista assassina. Ma quelle due strappate in orchestra, individuate dalla Dante e molto efficacemente sottolineate dalla buca estremamente duttile di Michele Mariotti, dicono in musica quello che il testo non osa. Così è coerente il filo del telefono teso due volte intorno al collo di lui, mentre lei ne ricorda il calore. E altrettanto coerente è la Serenata a Lola, in Cavalleria, cantata da un generoso Marco Berti a tale Anastasia Boldyreva, mentre si pettina come una bambolina da un balcone, che la avvolge come una culla, nella scena a perfetti incastri di Carmine Maringola.
La Sicilia di Emma Dante viene evocata per gesti simbolici netti: dal grottesco della processione, al calcio sferrato al ventre della povera Santuzza, Carmen Topciu; dal carrettino animato di folklore di Alfio, Gezim Myshketa, alla pioggia di croci bianche sull’Intermezzo. Mariotti lo concerta soffice, pieno di tenerezza, crepuscolare. Centellinando i singoli timbri in orchestra, così come aveva dipanato in Poulenc i disegni ritmici tanto caratteristici. Il suo Mascagni diventa contrasto tra canto popolare, lento e protettivo, e gesti aguzzi, elettrici, feroci, improvvisi. La ricca natura orchestrale di
Cavalleria rusticana, che piaceva tanto a Mahler, esce spontanea, ma preziosa. Come il compianto finale, che la Dante prende da una terracotta del Quattrocento di Niccolò dell’Arca, nella bolognese Chiesa di Santa Maria della Vita.
La voix humaine di Poulenc, Cavalleria rusticana di Mascagni; direttore Michele Mariotti, regia di Emma Dante; Bologna, Teatro Comunale, fino al 18 aprile