Maestro di cembalo e di teatro
Bernardo Pasquini, sommo compositore per cembalo prima di Domenico Scarlatti, visse nell’epoca di Spinoza, Bayle, Locke, Fénelon, Newton, Vico: stavano crescendo Vivaldi, Bach, Händel. Nel 1935, Paul Hazard avrebbe descritto quel mutamento scrivendo La crise de la conscience européenne; la metamorfosi dell’Occidente tra il 1680 e il 1715, dall'oppressione religiosa e superstiziosa al dissolversi rovinoso di fedi e dogmi già derisi. Pasquini nacque a Massa in Valdinievole (oggi parte del comune di Massa e Cozzile, in provincia di Pistoia) lunedì 7 dicembre 1637. I genitori erano Francesco di Michelangelo Pasquini e Maria Gentile di Bartolomeo Castellini: gente rispettabile, fra le poche famiglie della zona che avessero il diritto di accedere alle cariche pubbliche. Una stranezza del destino fu smentita: i familiari erano certi che la sopravvivenza di Bernardo sarebbe stata improbabile, e perciò il neonato fu battezzato in fretta a casa, prima che in chiesa, ma si ribellò alla mala sorte e visse assai più a lungo della media di allora: 73 anni. Accidentato l’inizio, agevole il percorso di vita. Pasquini fu ammirato, anzi, persino amato dalla maggior parte dei musici di mestiere, ciò che oggi sarebbe impensabile. La sua fama rimase viva a lungo, dopo la sua morte, avvenuta a Roma sabato 22 novembre 1710: curiosamente, era la festività di Santa Cecilia, musa cristiana dell’arte che egli aveva tanto onorato. Una mediazione moderna prolungò la fama: nel 1927-1928, Ottorino Respighi utilizzò musiche di Pasquini nel Preludio e nel Finale (“Toccata sul verso del cucco”) della suite Gli uccelli.
Ar naldo Morelli, già molto lodato come autore del Tempio armonico sull’Oratorio dei Filippini in Roma, ci dà con questo libro la prima grande monografia su Pasquini condotta con criteri finalmente rinnovati e dal respiro pieno. Si rivela l’immagine di un artista di corte non condizionato dal potere ma anzi capace d’ispirarlo: non soltanto l’impareggiabile maestro della tastiera, ma il finora poco conosciuto uomo di teatro, soprattutto nel periodo fondamentale, quello vissuto a Ferrara. Nel libro, questa è la maggiore acquisizione. Il lettore scopre con gioia esempi musicali, generosamente sovrabbondanti, di partiture teatrali dal gran fascino. Sorprendente, fra le altre, l’opera Il Colombo, ovvero L’India scoperta (1690): ingenue le licenze storiche, magnifica la musica, piena di tensione l’azione scenica. Eppure, a Roma un critico la definì «un lacrimatoio continuo dalla prima all’ultima scena». Altre analisi esemplari di Morelli sono quelle sull’oratorio Sant’Agnese, anch’esse corredate da perspicui esempi in facsimile. Una novità biografica di alto valore è il testamento di Pasquini: lungo e “colorato” catalogo di oggetti anche molto preziosi, di quelli che gli artisti fortunati riescono a possedere, in cui non manca tuttavia la malinconica menzione di «un habbito di panno con giustacore e ferraiolo usato assai».
Arnaldo Morelli, La virtù in corte: Bernardo Pasquini (1637-1710), Libreria Musicale Italiana, Lucca, pagg.428, € 40