Depositi Iva, conta il titolo d’ingresso
In caso di estrazioni dirette all’Italia, l’imposta dipende dalle modalità di introduzione
L’incrocio tra le regole sui depositi Iva (modificate dal Dl 193/2016) e quelle sui nuovi obblighi di garanzia (Dm 23 febbraio 2017) delinea chiaramente la differenza di tattamento tra i beni che, dopo l’estrazione, sono destinati a finire all’estero e quelli che, invece, saranno commercializzati o utilizzati in Italia.
Limiti a garanzie e imposta
In base alle regole in vigore dal 1° aprile, sono tenuti a prestare la garanzia all’atto dell’estrazione solo i soggetti che intendono utilizzare o commercializzare nel territorio dello Stato beni extracomunitari precedentemente immessi in libera pratica con introduzione in deposito Iva. E questo, sempre che non ricorrano le specifiche ipotesi di esclusione dall’obbligo e sempre che chi estrae non sia in possesso dei requisiti di affidabilità (da autocertificare con il modello approvato con provvedimento 57215/2017): in questi casi, la garanzia non occorre.
Analogamente, l’obbligo di versamento dell’imposta per le altre ipotesi di estrazione, previsto dal nuovo comma 6 dell’articolo 50-bis, Dl 331/1993, vale solo con riguardo a beni destinati a un utilizzo o commercio interno, e non quando l’estrazione è finalizzata all’esecuzione di una cessione intracomunitaria o all’esportazione.
La cessione all’estero
L’estrazione di beni che sono ceduti e trasferiti all’estero continua ad avvenire senza assolvimento dell’imposta nel rispetto delle indicazioni fornite (da ultimo) con la circolare 12/E/2015, indipendentemente dalle modalità di entrata.
La cessione in Italia
Al contrario, in caso di estrazione a fini di commercializzazione o utilizzo in Italia, bisogna guardare al titolo in forza del quale i beni sono stati introdotti nel deposito.
Il primo caso da esaminare è quello dei beni che si trovano nel territorio dello Stato al momento dell’introduzione. Si tratta di una fattispecie ora ammessa per tutte le tipologie di beni (stante l’abrogazione della lettera d, del comma 4 dell’articolo 50-bis, Dl 331/93) che siano ceduti a soggetti nazionali o esteri, anche con posizione Iva in Italia (grazie alle modifiche alla lettera c).
In questo caso, l’imposta è dovuta da chi estrae ed è versata in nome e per conto di tale soggetto dal gestore del deposito. Non è possibile pagare l’imposta compensando eventuali crediti, ma si può usare il plafond per gli esportatori abituali, secondo le indicazioni della risoluzione 35/E/2017.
Un secondo caso è quello dell’estrazione di beni che siano stati acquistati – chiunque sia il cedente – durante la giacenza all’interno del deposito Iva. L’obbligo di versamento pare riguardare anche quest’ultima situazione. Così sembra in base al dato letterale della norma, la quale dispone che siano estratti applicando il reverse charge (e, quindi, senza versamento dell’imposta) soltanto: 1 i beni introdotti in forza di un acquisto intracomunitario; 1 i beni introdotti con immissione in libera pratica.
Infatti, poiché nell’ipotesi dell’acquisto intracomunitario chi estrae deve integrare la «relativa fattura», è lecito ritenere che la procedura sia riservata solo al cessionario che ha realizzato l’acquisto intracomunitario, e non agli acquirenti dei beni già custoditi nel deposito (i quali disporranno di fatture/ documenti che non sono “relativi” a un acquisto intracomunitario in senso tecnico).
Il reverse charge dovrebbe inoltre applicarsi anche se i beni formano oggetto di un contratto di consignment stock in deposito Iva, secondo cui l’acquisto intracomunitario si perfeziona solo all’atto dell’estrazione.
Per i beni di provenienza extraUe immessi in libera pratica e introdotti in deposito (senza pagamento dell’Iva all’importazione), invece, chi estrae – anche se non è l’originario importatore – applica sempre l’inversione contabile. Senza garanzia, se si è in possesso dei requisiti di affidabilità di cui all’articolo 2, Dm 23 febbraio 2017, da documentare con dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà. Oppure, in mancanza di tali requisiti, dietro prestazione di specifica garanzia avente durata di sei mesi dalla data d’estrazione, conformemente ai modelli approvati con provvedimento 59277/2017.
Si considerano tuttavia affidabili ex lege gli operatori economici autorizzati (Aeo), i soggetti ex articolo 90 Dpr 43/1973 e coloro che hanno immesso in libera pratica i beni. Questi ultimi, infatti, all’atto dell’introduzione della merce nel deposito Iva, hanno già prestato la garanzia, il cui svincolo è subordinato al rispetto delle modalità indicate dalle dogane con nota 113881/2011 (richiamata dalla risoluzione 35/E/2017).
Resta il fatto che, in assenza di una disciplina “transitoria”, chi estrae, dopo il 1° aprile, beni immessi in libera pratica da un altro operatore prima dell’entrata in vigore delle nuove regole, e acquistati durante la loro permanenza nel deposito, si trova esposto all’obbligo di prestare una garanzia non prevista (sempre che si tratti di soggetto non affidabile).