L’ultimo assegno dalle banche: ora serve un partner
Come in tutte le trattative, nei mesi scorsi quando si erano sedute al tavolo le banche azioniste e creditrici Intesa Sanpaolo e UniCredit (a cui ci aggiunge Generali con i suoi 300 milioni del bond DolceVita) avevano posto una serie di condizioni. Una sola, alla fine era rimasta come inderogabile: limitare il contributo, e quindi le perdite reali o potenziali, a quanto erogato in passato. Ed evitare impatti futuri. Di qui la decisione - espressa anche al premier Gentiloni nell’incontro del 31 marzo a Palazzo Chigi - di accettare la conversione o il riscadenziamento dei finanziamenti già in essere ma al tempo stesso di puntare i piedi sui 200 milioni di quota parte del contingent equity, che le avrebbe esposte al rischio di dover iniettare nuove risorse nel caso - ritenuto assai probabile - in cui si dovesse materializzare non lo scenario base ma quello peggiore.
Questa, secondo quanto risulta a Il Sole 24 Ore, la posizione espressa da Carlo Messina al cda di Intesa Sanpalo mercoledì 5 e da Jean Pierre Mustier sei giorni dopo al board UniCredit. Che in entrambi i casi, non avevano potuto deliberare al riguardo, visto che ancora mancava l’escamotage di Invitalia.
Massimo sostegno al piano, avrebbero espresso i manager, e fiducia nel nuovo board col tandem Gubitosi-Ball che nei fatti vede le leve tipiche dell’ad nelle mani dell’ex dg Rai ma garanzia scritta (e immediata, secondo quanto preteso da UniCredit) che l’eventuale nuovo capitale sarà a carico di altri. Può sembrare strano, visto che si trattava di “appena” 200 milioni a fronte di un impegno che comunque sfiora il miliardo, considerando anche Generali, disponibile a rinegoziare il bond previo trasferimento a una newco che diventerà azionista di Alitalia. Ma per Messina e Mustier ne va della possibilità di fornire un messaggio chiaro al mercato: le due banche non dovranno subire ulteriori impatti da Alitalia. E, in fondo, il “no” a nuovi esborsi tradisce l’ambizione vera dei due banchieri: sfruttare l’«effetto palla lunga» del nuovo piano per trovare senza indugio un partner. Nella consapevolezza che rispetto a tre anni fa il mercato delle aviolinee ha accelerato e brutalizzato il processo di polarizzazione, e dunque Etihad non può essere considerato l’approdo definitivo: per gli arabi così come per Alitalia serve un compagno di viaggio dalle spalle ancora più larghe, che in molti vedono in Lufthansa. Si vedrà. Certo è che tra Ca’ de Sass e Piazza Gae Aulenti, dove gli esperti di m&a non mancano, si confida che tra gli effetti del nuovo piano ci sia anche quello di accrescere l’appeal della compagnia tricolore, fino a ieri considerata “inavvicinabile” da molti potenziali acquirenti proprio per via del costo del lavoro.
Si vedrà nei prossimi mesi. Cioè quando saranno chiarite le tante incognite che ancora gravano sull’operazione. Anzitutto il referendum tra i dipendenti, passaggio obbligato. E poi la definizione nel dettaglio dell’architettura finanziaria di uno schema che ancora ieri risultava vago a buona parte delle parti in causa. E qui c’è del paradossale: dentro e fuori dalle stesse banche circolano ricostruzioni molto diverse tra loro del modo in cui si arriva a quanto contenuto nel verbale di accordo firmato ieri al Mise (consultabile su www.ilsole24ore.com), che molto genericamente parla del-
LE CONDIZIONI Da Intesa e UniCredit sostegno al piano ma contributo limitato a quanto erogato in passato
la proposta di «un gruppo di azionisti e finanziatori di ripatrimonializzare l’azienda per circa 2 miliardi di euro, di cui oltre 900 come nuova finanza». Metà della torta, anzi il 49%, sarà a carico di Etihad. Il resto di UniCredit, Intesa, Generali: del Leone si è già detto della disponibilità a rinegoziarie il bond, mentre per quanto riguarda le due banche ci sarebbe anzitutto l’impegno a convertire i 470 milioni di crediti concessi a dicembre (e solo in parte “tirati” da Alitalia); sul tavolo UniCredit avrebbe messo anche la disponibilità a convertire altri 65 milioni di linee. In totale l’impegno delle due banche e della compagnia si aggirerà, per forza di cose, intorno al miliardo. Invitalia, poi, garantirà - facendosi pagare - l’equity che si potrebbe rivelare necessaria in caso di contingenze negative. Mps, infine, pare sia destinata a tenersi fuori, mantenendo i panni del creditore: voce che al momento non trova conferma da Siena ma che avrebbe fatto irritare non poco gli altri portatori d’acqua, considerato che il Monte si appresta a diventare di proprietà del TTesoro.