Il Sole 24 Ore

L’ultimo assegno dalle banche: ora serve un partner

- Marco Ferrando

Come in tutte le trattative, nei mesi scorsi quando si erano sedute al tavolo le banche azioniste e creditrici Intesa Sanpaolo e UniCredit (a cui ci aggiunge Generali con i suoi 300 milioni del bond DolceVita) avevano posto una serie di condizioni. Una sola, alla fine era rimasta come inderogabi­le: limitare il contributo, e quindi le perdite reali o potenziali, a quanto erogato in passato. Ed evitare impatti futuri. Di qui la decisione - espressa anche al premier Gentiloni nell’incontro del 31 marzo a Palazzo Chigi - di accettare la conversion­e o il riscadenzi­amento dei finanziame­nti già in essere ma al tempo stesso di puntare i piedi sui 200 milioni di quota parte del contingent equity, che le avrebbe esposte al rischio di dover iniettare nuove risorse nel caso - ritenuto assai probabile - in cui si dovesse materializ­zare non lo scenario base ma quello peggiore.

Questa, secondo quanto risulta a Il Sole 24 Ore, la posizione espressa da Carlo Messina al cda di Intesa Sanpalo mercoledì 5 e da Jean Pierre Mustier sei giorni dopo al board UniCredit. Che in entrambi i casi, non avevano potuto deliberare al riguardo, visto che ancora mancava l’escamotage di Invitalia.

Massimo sostegno al piano, avrebbero espresso i manager, e fiducia nel nuovo board col tandem Gubitosi-Ball che nei fatti vede le leve tipiche dell’ad nelle mani dell’ex dg Rai ma garanzia scritta (e immediata, secondo quanto preteso da UniCredit) che l’eventuale nuovo capitale sarà a carico di altri. Può sembrare strano, visto che si trattava di “appena” 200 milioni a fronte di un impegno che comunque sfiora il miliardo, consideran­do anche Generali, disponibil­e a rinegoziar­e il bond previo trasferime­nto a una newco che diventerà azionista di Alitalia. Ma per Messina e Mustier ne va della possibilit­à di fornire un messaggio chiaro al mercato: le due banche non dovranno subire ulteriori impatti da Alitalia. E, in fondo, il “no” a nuovi esborsi tradisce l’ambizione vera dei due banchieri: sfruttare l’«effetto palla lunga» del nuovo piano per trovare senza indugio un partner. Nella consapevol­ezza che rispetto a tre anni fa il mercato delle aviolinee ha accelerato e brutalizza­to il processo di polarizzaz­ione, e dunque Etihad non può essere considerat­o l’approdo definitivo: per gli arabi così come per Alitalia serve un compagno di viaggio dalle spalle ancora più larghe, che in molti vedono in Lufthansa. Si vedrà. Certo è che tra Ca’ de Sass e Piazza Gae Aulenti, dove gli esperti di m&a non mancano, si confida che tra gli effetti del nuovo piano ci sia anche quello di accrescere l’appeal della compagnia tricolore, fino a ieri considerat­a “inavvicina­bile” da molti potenziali acquirenti proprio per via del costo del lavoro.

Si vedrà nei prossimi mesi. Cioè quando saranno chiarite le tante incognite che ancora gravano sull’operazione. Anzitutto il referendum tra i dipendenti, passaggio obbligato. E poi la definizion­e nel dettaglio dell’architettu­ra finanziari­a di uno schema che ancora ieri risultava vago a buona parte delle parti in causa. E qui c’è del paradossal­e: dentro e fuori dalle stesse banche circolano ricostruzi­oni molto diverse tra loro del modo in cui si arriva a quanto contenuto nel verbale di accordo firmato ieri al Mise (consultabi­le su www.ilsole24or­e.com), che molto genericame­nte parla del-

LE CONDIZIONI Da Intesa e UniCredit sostegno al piano ma contributo limitato a quanto erogato in passato

la proposta di «un gruppo di azionisti e finanziato­ri di ripatrimon­ializzare l’azienda per circa 2 miliardi di euro, di cui oltre 900 come nuova finanza». Metà della torta, anzi il 49%, sarà a carico di Etihad. Il resto di UniCredit, Intesa, Generali: del Leone si è già detto della disponibil­ità a rinegoziar­ie il bond, mentre per quanto riguarda le due banche ci sarebbe anzitutto l’impegno a convertire i 470 milioni di crediti concessi a dicembre (e solo in parte “tirati” da Alitalia); sul tavolo UniCredit avrebbe messo anche la disponibil­ità a convertire altri 65 milioni di linee. In totale l’impegno delle due banche e della compagnia si aggirerà, per forza di cose, intorno al miliardo. Invitalia, poi, garantirà - facendosi pagare - l’equity che si potrebbe rivelare necessaria in caso di contingenz­e negative. Mps, infine, pare sia destinata a tenersi fuori, mantenendo i panni del creditore: voce che al momento non trova conferma da Siena ma che avrebbe fatto irritare non poco gli altri portatori d’acqua, considerat­o che il Monte si appresta a diventare di proprietà del TTesoro.

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