Contro Pyongyang poche opzioni praticabili
«Ho grande fiducia che la Cina si occuperà correttamente della Corea del Nord. Ma se non saranno in grado di farlo, lo faranno gli Stati Uniti con i loro alleati». Al di là degli slogan muscolari che Donald Trump ha affidato a Twitter le opzioni militari praticabili contro Pyongyang sono poche e molto rischiose.
La Corea del Nord è divenuta una potenza nucleare, accreditata oggi di una ventina di ordigni atomici, con il chiaro intento di mettersi al riparo da attacchi esterni diretti a far crollare il regime comunista. Di fatto Kim Jong-un ha ereditato e rafforzato il programma nucleare nazionale per scongiurare il rischio di subire la sorte di Saddam Hus- sein e Muammar Gheddafi o quella che arabi e occidentali hanno pianificato per Bashar Assad.
Benché il dispositivo militare convenzionale nordcoreano sia poderoso (oltre un milione di soldati, 4mila carri, 500 aerei da combattimento), il regime ha concentrato le risorse finanziarie sulle armi di distruzione di massa: ordigni nucleari, chimici e missili balitici. Settori in cui ha raggiunto la piena autonomia produttiva mentre le forze armate convenzionali hanno scarso addestramento, poco carburante e mezzi decrepiti, certo non in grado di contrastare un attacco statunitense dal cielo che mobiliterebbe missili da crociera, aerei“invisibili” ai radar( B-2 e F22) e i cacciabombardieri F-16 ed F18 che Washington schiera in Corea del Sud, Giappone e sulle portaerei nel Pacifico.
Una superiorità tecnologica schiacciante ma che non potrebbe garantire la distruzione preventiva delle armi atomiche né del migliaio di missili balistici, alcuni posti su rampe mobili e qualcuno imbarcato su sottomarini facilmente occultabili.
Alcune decine di missili possono colpire tutto il Pacifico e persino alcune parti del territorio statunitense mentre almeno 200 Nodong 2, Musudan e Taepodong possono raggiungere il Giappone e le basi statunitensi a Guam e Okinawa e centinaia di Hwasong (derivati dagli Scud sovietici) sono in grado di bersagliare la Corea del Sud con testate quanto meno ad alto esplosivo e chimiche.
Neppure i sistemi antimissile schierati in Corea del Sud, Giappone e sulle navi americane potrebbero intercettarli tutti se lanciati a ondate.
Seul, a pochi chilometri dal confine del 38° Parallelo, è inoltre a tiro di centinaia di cannoni e razzi di grosso calibro nascosti in caverne, al riparo dai raid aerei e dotati di munizioni caricate con yprite e gas nervino. Un attacco statunitense, anche se limitato o “punitivo” come quello effettuato contro la Siria la scorsa settimana, potrebbe scatenare una violenta rappresaglia nucleare o chimica ma neppure un’offensiva americana su vasta scala potrebbe mettere al riparo dal rischio che i nordcoreani riescano a rispondere in modo devastante colpendo i loro vicini. Non si può escludere neppure che Pyongyang attacchi per prima se dovesse ritenere imminente un attacco Usa.
Anche per queste ragioni la minaccia di Trump sembra tesa a indurre i cinesi a disarmare il sempre più scomodo alleato, anche se pure Pechino ha pochi margini di manovra. Da un lato missili e bombe A di Pyongyang giustificano il riarmo di Giappone e Corea e il rafforzamento militare americano nel “giardino di casa” della Cina. Dal- l’altro i cinesi non possono lasciare che gli Usa attacchino il loro alleato per non perdere la faccia e impedire il collasso del regime poichè una riunificazione della Penisola coreana sotto l’egida di Seul porterebbe le forze statunitensi (quasi 30mila militari in Corea del Sud) dal 38° Parallelo ai confini orientali cinesi.
Pechino invita Trump a rinunciare ad opzioni militari e scoraggia Kim dall’effettuare un nuovo test atomico che costituirebbe il «punto di non ritorno» per gli Usa. Se le pressioni dovessero fallire alla Cina resterebbe l’opzione di determinare lei stessa un “regime change” a Pyongyang con un golpe o un’azione militare tesa ad anticipare e scongiurare quella statunitense. Uno scenario che rischierebbe di fare della Corea del Nord «l’Afghanistan dei cinesi», prospettiva che potrebbe non dispiacere a Trump che considera una priorità l’indebolimento di Pechino.
AZIONE MILITARE RISCHIOSA La superiorità degli Usa è schiacciante ma non garantisce la distruzione preventiva di armi atomiche e missili balistici