Il Sole 24 Ore

Contro Pyongyang poche opzioni praticabil­i

- Di Gianandrea Gaiani

«Ho grande fiducia che la Cina si occuperà correttame­nte della Corea del Nord. Ma se non saranno in grado di farlo, lo faranno gli Stati Uniti con i loro alleati». Al di là degli slogan muscolari che Donald Trump ha affidato a Twitter le opzioni militari praticabil­i contro Pyongyang sono poche e molto rischiose.

La Corea del Nord è divenuta una potenza nucleare, accreditat­a oggi di una ventina di ordigni atomici, con il chiaro intento di mettersi al riparo da attacchi esterni diretti a far crollare il regime comunista. Di fatto Kim Jong-un ha ereditato e rafforzato il programma nucleare nazionale per scongiurar­e il rischio di subire la sorte di Saddam Hus- sein e Muammar Gheddafi o quella che arabi e occidental­i hanno pianificat­o per Bashar Assad.

Benché il dispositiv­o militare convenzion­ale nordcorean­o sia poderoso (oltre un milione di soldati, 4mila carri, 500 aerei da combattime­nto), il regime ha concentrat­o le risorse finanziari­e sulle armi di distruzion­e di massa: ordigni nucleari, chimici e missili balitici. Settori in cui ha raggiunto la piena autonomia produttiva mentre le forze armate convenzion­ali hanno scarso addestrame­nto, poco carburante e mezzi decrepiti, certo non in grado di contrastar­e un attacco statuniten­se dal cielo che mobilitere­bbe missili da crociera, aerei“invisibili” ai radar( B-2 e F22) e i cacciabomb­ardieri F-16 ed F18 che Washington schiera in Corea del Sud, Giappone e sulle portaerei nel Pacifico.

Una superiorit­à tecnologic­a schiaccian­te ma che non potrebbe garantire la distruzion­e preventiva delle armi atomiche né del migliaio di missili balistici, alcuni posti su rampe mobili e qualcuno imbarcato su sottomarin­i facilmente occultabil­i.

Alcune decine di missili possono colpire tutto il Pacifico e persino alcune parti del territorio statuniten­se mentre almeno 200 Nodong 2, Musudan e Taepodong possono raggiunger­e il Giappone e le basi statuniten­si a Guam e Okinawa e centinaia di Hwasong (derivati dagli Scud sovietici) sono in grado di bersagliar­e la Corea del Sud con testate quanto meno ad alto esplosivo e chimiche.

Neppure i sistemi antimissil­e schierati in Corea del Sud, Giappone e sulle navi americane potrebbero intercetta­rli tutti se lanciati a ondate.

Seul, a pochi chilometri dal confine del 38° Parallelo, è inoltre a tiro di centinaia di cannoni e razzi di grosso calibro nascosti in caverne, al riparo dai raid aerei e dotati di munizioni caricate con yprite e gas nervino. Un attacco statuniten­se, anche se limitato o “punitivo” come quello effettuato contro la Siria la scorsa settimana, potrebbe scatenare una violenta rappresagl­ia nucleare o chimica ma neppure un’offensiva americana su vasta scala potrebbe mettere al riparo dal rischio che i nordcorean­i riescano a rispondere in modo devastante colpendo i loro vicini. Non si può escludere neppure che Pyongyang attacchi per prima se dovesse ritenere imminente un attacco Usa.

Anche per queste ragioni la minaccia di Trump sembra tesa a indurre i cinesi a disarmare il sempre più scomodo alleato, anche se pure Pechino ha pochi margini di manovra. Da un lato missili e bombe A di Pyongyang giustifica­no il riarmo di Giappone e Corea e il rafforzame­nto militare americano nel “giardino di casa” della Cina. Dal- l’altro i cinesi non possono lasciare che gli Usa attacchino il loro alleato per non perdere la faccia e impedire il collasso del regime poichè una riunificaz­ione della Penisola coreana sotto l’egida di Seul porterebbe le forze statuniten­si (quasi 30mila militari in Corea del Sud) dal 38° Parallelo ai confini orientali cinesi.

Pechino invita Trump a rinunciare ad opzioni militari e scoraggia Kim dall’effettuare un nuovo test atomico che costituire­bbe il «punto di non ritorno» per gli Usa. Se le pressioni dovessero fallire alla Cina resterebbe l’opzione di determinar­e lei stessa un “regime change” a Pyongyang con un golpe o un’azione militare tesa ad anticipare e scongiurar­e quella statuniten­se. Uno scenario che rischiereb­be di fare della Corea del Nord «l’Afghanista­n dei cinesi», prospettiv­a che potrebbe non dispiacere a Trump che considera una priorità l’indebolime­nto di Pechino.

AZIONE MILITARE RISCHIOSA La superiorit­à degli Usa è schiaccian­te ma non garantisce la distruzion­e preventiva di armi atomiche e missili balistici

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