Il Sole 24 Ore

Ora è la Cina il migliore alleato dell’America

- Ugo Tramballi

Quando fu criticato perché la telefonata con Tsai Ing-wen, la presidente di Taiwan, metteva in discussion­e il principio della “One China policy”, un pilastro della politica estera americana in Estremo Oriente, la reazione di Donald Trump fu umanamente comprensib­ile. Tutti sanno che esistono due Cine, quella di Pechino e dell’isola di Formosa, obiettò il neo presidente americano.

Quello che l’imprendito­re edile, il protagonis­ta di reality di successo, il nazionalis­ta e il qualunquis­ta non poteva sapere era che queste finzioni servono per garantire la pace e, nel caso specifico, per assicurare la sopravvive­nza di Taiwan. La bugia sull’esistenza di una sola Cina si chiama diplomazia e il suo compito è inventare compromess­i per evitare conflitti.

Ciò che un presidente con un vocabolari­o limitato non sa (Mark Twain sosteneva che la qualità di un uomo si definisce dalla quantità di aggettivi che usa), e che l’internazio­nale populista finge d’ignorare, è che un compromess­o non è inciucio: è il punto più alto della politica. È inclusione, rispetto dell’altro, in politica estera strumento di pace.

Il problema si ripropone con l’”invincibil­e armata” americana che si sta avvicinand­o alle coste coreane. Chiamandol­a così, Trump probabilme­nte non sapeva che quel nome non porta buono: ricorda soprattutt­o la sconfitta spagnola del 1588 al largo di Calais, che impedì a Filippo II d’invadere l’Inghilterr­a. Kim Jong-un ha solo 33 anni ma è un osso più duro di quanto sia stato Francis Drake per gli spagnoli o siano oggi Bashar Assad e l’Isis per gli americani. Come reazione a Moab, la superbomba sganciata in Afghanista­n, qualche lupo solitario islamista forse tenterà di colpire Millwaukee o Saint Louis. Ma se gli americani lanciano i missili sui siti nucleari di Pyongyang, di sicuro Kim colpirà con i suoi Seul, forse sparando nucleare sporco, sarin e quanto di peggio ci sia nel suo arsenale.

La pericolosi­tà del giovane satrapo della Corea del Nord è estremamen­te alta, ed è stata ulteriorme­nte aggravata dal bombardame­nto americano sulla base militare siriana e l’uso di Moab (la “madre di tutte le bombe” di Trump) sulla provincia afghana di Jalalabad. Precedenti su cui un dittatore tende a riflettere in modo sbagliato. Occorre evidenteme­nte fare qualcosa contro un regime così instabile nei propri comportame­nti, i cui leader minacciano la pace regionale e mondiale ormai da tre generazion­i. Tuttavia non è detto che sia la cosa giusta sfidarlo sul suo terreno militare, sapendo che alla fine l’America vincerà ma ignorando a quale prezzo. A volte, il costo equivale a una sconfitta.

Forse Trump deve ancora imparare che nel mestiere di presidente degli Stati Uniti fra il dire e il fare c’è una relazione

LA VERA SOLUZIONE Forse Xi Jinping sta realizzand­o che una penisola riunificat­a è meglio di una Corea del Nord fuori controllo

molto più stretta di quanto non accada nella trattativa per acquisire un lotto edificabil­e nel centro di Seul. Per il presidente della prima superpoten­za mondiale è difficile promettere l’Armageddon e poi far tornare indietro la flotta senza avere sparato un solo colpo.

La Cina, che per “concetto nazionale” stabilito dal partito ha deciso che sarà una superpoten­za solo nel 2049, in occasione del 100° anniversar­io della Repubblica Popolare, è l’alleato migliore dell’America per rendere meno rischiosa la missione dell’armada di Trump.È difficile che un compromess­o diplomatic­o possa sradicare la minaccia del regime della Corea del Nord. Ma farebbe guadagnare tempo utile per una soluzione definitiva. Probabilme­nte Xi Jinping sta capendo che per la stabilità della regione nella quale è protagonis­ta, per la Cina è più rischiosa una Corea del Nord incontroll­abile che gli americani alle frontiere, in una Corea riunificat­a.

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