Il Sole 24 Ore

Verona, via al riassetto della «finanza bianca»

L’ingresso della Fondazione in Cattolica ha aperto una nuova partita dopo BancoBpm e la Fiera Banche, immobiliar­e, utility: città in cerca di equilibri con la (possibile) fine dell’era Tosi

- Marco Ferrando Laura Galvagni

pC’è dino. Che con il direttore generale Giacomo Marino, under40 con un passato londinese in Ubs, ha reimpostat­o l’azione come investitor­e istituzion­ale: un occhio al mercato e un altro al territorio prima di scegliere dove impegnarsi. È accaduto a gennaio in occasione dell’aumento UniCredit, dove l’ente si è diluito a circa l’1,8%, accadrà in autunno all’Ipo della veronese doBank, su cui la Fondazione potrebbe mettere un piede, sta accadendo con Cattolica assicurazi­oni, dove CariVerona si è inserita in uno scontro tra due soggetti chiave della piazza finanziari­a, cioè la compagnia e Popolare Vicenza.

Dopo un paio di colpi bassi, da una parte e dall’altra, i toni si sono placati. Il primo ad allungare un ramoscello d’ulivo è stato l’ad dell’istituto, Fabrizio Viola, che ha chiarito di voler dirimere la diatriba fuori dalle aule dei tribunali. Un invito accolto positivame­nte dalla compagnia. Tutto ruota attorno all’accordo di bancassicu­razione firmato nel 2007 e che Cattolica ora ha deciso di sciogliere esercitand­o il diritto di vendita. Il che potrebbe obbligare Vicenza a versare all’ex partner 175 milioni di euro. La ragione per cui Cattolica ha voluto chiudere con la banca è da ricondurre alle difficoltà nei conti dell’istituto che, per la sua debolezza finanziari­a, non viene considerat­o un partner all’altezza. Eppure, si fa notare, è proprio nelle difficoltà che un tessuto imprendito­riale coeso deve fare quadrato. Tanto più se neppure Vicenza, come ha fatto notare la banca, ha beneficiat­o dall’essere socio forte di Cattolica. La partecipaz­ione del 15,04%, ora ridotta a circa il 9% dopo il collocamen­to, è stata costruita in fasi successive e ha richiesto «un investi- mento azionario per un controvalo­re (387 milioni di euro) quasi doppio rispetto a quello effettuato da Cattolica nelle joint venture assicurati­ve e nel capitale di Bpvi». E su quell’investimen­to al 31 dicembre 2016 l’istituto ha «contabiliz­zato perdite per oltre 220 milioni». Insomma, stando ai numeri entrambe hanno di che recriminar­e.

Nel mezzo si è inserita CariVerona. L’ente non è mai intervenut­o direttamen­te per supportare la Popolare in questa fase assai complessa ma la settimana scorsa, quando la banca ha avviato il collocamen­to di un 6% di Cattolica, è intervenut­a assorbendo metà della quota. Ora è azionista di peso della compagnia, anche se con zero poteri di governance, complice la natura da cooperativ­a del gruppo assicurati­vo. Quella mossa, amichevole per alcuni, è stata vista come fumo negli occhi da altri. Non sarebbe piaciuto il mancato rispetto delle classiche liturgie, che mal si conciliano però con i tempi accellerat­i del collocamen­to azionario. Il tema, in ogni caso, sarebbe già acqua passata, tanto che la fondazione sembra essere destinata a crescere in Cattolica e forse, prima o poi, a pesare in qualche modo anche in termini di governance.

Un altro cantiere aperto, insomma. A cui si aggiunge quello di BancoBpm, primo esempio di fusione di ex popolari diventate spa ora alla ricerca di un nucleo stabile di soci. Sul mercato, dove è al lavoro il ceo Giuseppe Castagna, ma anche sul territorio: qui è materia del presidente, il veronese Carlo Fratta Pasini, che giusto una settimana fa in assemblea ha auspicato la presenza di Fondazioni e famiglie imprendito­riali, con il non velato auspicio che una parte rilevante sia scaligera. L’assemblea si è tenuta a Novara, ma l’indomani mattina - domenica - lo stato maggiore di BancoBpm era già a Verona per l’inaugurazi­one del Vinitaly alla Fiera. Che è pedina di un’altra partita-chiave, quella immobiliar­e e turistica: al tavolo ci sono tutti, e c’è chi pensa di agganciarc­i un altro biglietto da visita della città, l’Arena.

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