BpVi, l’accusa a Zonin apre la strada ai risparmiatori
L’atto di citazione della Popolare contro gli ex vertici indica chiaramente i danni causati agli investitori
Sono 334 pagine “pesanti”, quelle dell’atto di citazione promosso nei giorni scorsi dalla Popolare di Vicenza contro gli ex vertici che riguarda 32 ex tra amministratori manager (l’intera direzione generale) e sindaci, tra cui l’ex presidente Gianni Zonin e l’ex dg Samuele Sorato. L’udienza è fissata per il 12 ottobre ed è stata richiesta la riunione con la causa al Tribunale delle imprese di Venezia avviata a dicembre da Zonin contro la Popolare, Sorato e il suo vice Emanuele Giustini. La doppia vertenza gioca a favore di clienti e risparmiatori che chiedono giustizia per l’azzeramento dei propri investimenti.
A dicembre era stato Zonin, con una mossa a sorpresa, a portare in giudizio davanti al Tribunale delle imprese di Venezia la Popolare, Sorato e Giustini. L’udienza è prevista per il 24 maggio. Secondo l’ex presidente l’azione si propone di dimostrare che il deterioramento economico della Popolare «ha tre origini concomitanti: la grave crisi finanziaria ed economica italiana; l’impatto negativo della straordinaria normativa europea applicata alle banche italiane; una gestione scorretta da parte della direzione della banca, posta in essere con modalità tali da non poter essere accertata dal consiglio di amministrazione». In sostanza una mossa a propria discolpa, quella di Zonin, per «costituire la sede più naturale e appropriata per ricostruire i fatti che oggi sono contemporaneamente sottoposti al giudizio della Consob, di Banca d’Italia, della Procura della Repubblica di Vicenza e del Tribunale delle imprese» ed «evitare il conflitto di giudicati, evitare dispersione di conoscenze e aggravio dei costi». Per questo Zonin ritiene di proprio interesse «essere giudicato in un unico processo civile, che comprenda tutte le contestazioni e le difese proposte dinanzi alla autorità regolatrici».
Ma questa contesa giudiziaria incrociata può fare emergere anche le ragioni dei risparmiatori. Nell’atto depositato dalla Popolare di Vicenza ampio spazio è dedicato infatti, oltre ad altre vicende, al «capitale finanziato», alle «riprofilature opportunistiche», alla «violazione dell’ordine cronologico nell’evasione delle richiesta di vendita delle azioni», alle «carenze nel processo di negoziazione delle azioni». In sostanza la banca chiede conto a Zonin e agli altri ex amministratori, sindaci e dirigenti di azioni e omissioni che l’hanno danneggiata, ma così facendo mette nero su bianco quanto i risparmiatori, i clienti, i sottoscrittori di azioni e di bond le contestano. «L’atto di citazione si sofferma sulla modalità con cui è stato reperito parte del capitale necessario per i due aumenti 2013 e 2014, definita “il capitale finanziato” ai più nota come “operazioni baciate”», spiega l’avvocato Letizia Vescovini del foro di Modena, esperta di diritto degli investi- menti. «Si tratta di quelle operazioni in cui la stessa banca erogava a soci e non soci il credito necessario per sottoscrivere l’aumento di capitale e/o anche per l’acquisto sul mercato secondario delle proprie azioni. Nell’atto si legge che Bce, Banca d’Italia e Consob hanno contestato alla banca di aver “sistematicamente finanziato i clienti per acquistare le azioni proprie anche sul mercato”».
«Sempre dall’atto di citazione», spiega Vescovini, «emerge la violazione dell’ordine cronologico delle richieste di vendita delle azioni. In un contesto di sostanziale illiquidità del titolo BpVi è stato consentito di disinvestire ad alcuni soci, piuttosto che ad altri che avevano formulato la richiesta di vendita in precedenza». Un’altra violazione riguarda le procedure di adeguatezza definite nella citazione “riprofilature opportunistiche”: «Tra il 2013 e il 2014 molte sottoscrizioni di titoli BpVi sono risultate adeguate solo in virtù di un upgrade dei profili di investimento (il 65% nel 2013 e il 79% nel 2015) avvenuto nel giorno dell’adesione o in quelli appena precedenti. Secondo la citazione, le azioni sarebbero state inappropriate o inadeguate per buona parte degli investitori a cui nonostante tutto sono state collocate: tali titoli non erano conformi a obiettivi di investimento, competenze ed esperienze necessari per comprendere i rischi», insiste Vescovini. «La violazione degli obblighi informativi, in particolare sull’illiquidità del titolo, specificamente indicati dalla comunicazione Consob n. 9019104 del 2009, e della regola di adeguatezza e appropriatezza consentono agli investitori di richiedere la risoluzione del contratto di investimento e il risarcimento del danno che coincide normalmente con la somma investita nel titolo».
Risultano chiari, dunque, i motivi per i quali la banca ha considerato valida “l’Opa sulle cause” (offerta pubblica di transazione) anche senza il raggiungimento dell’80% di adesioni dei soci. Mercoledì prossimo, 19 aprile, la Vicenza pagherà 192,8 milioni come corrispettivo dell’offerta “tombale” ai 66.770 azionisti aderenti (il 71,9% del totale), portatori del 68,7% delle azioni. Per chi non ha aderito all’Opt o per chi vi avrà rinunciato, dopo le segnalazioni della Vicenza ora si aprono vaste opportunità legali.