Il Sole 24 Ore

BpVi, l’accusa a Zonin apre la strada ai risparmiat­ori

L’atto di citazione della Popolare contro gli ex vertici indica chiarament­e i danni causati agli investitor­i

- Nicola Borzi nicola.borzi@ilsole24or­e.com

Sono 334 pagine “pesanti”, quelle dell’atto di citazione promosso nei giorni scorsi dalla Popolare di Vicenza contro gli ex vertici che riguarda 32 ex tra amministra­tori manager (l’intera direzione generale) e sindaci, tra cui l’ex presidente Gianni Zonin e l’ex dg Samuele Sorato. L’udienza è fissata per il 12 ottobre ed è stata richiesta la riunione con la causa al Tribunale delle imprese di Venezia avviata a dicembre da Zonin contro la Popolare, Sorato e il suo vice Emanuele Giustini. La doppia vertenza gioca a favore di clienti e risparmiat­ori che chiedono giustizia per l’azzerament­o dei propri investimen­ti.

A dicembre era stato Zonin, con una mossa a sorpresa, a portare in giudizio davanti al Tribunale delle imprese di Venezia la Popolare, Sorato e Giustini. L’udienza è prevista per il 24 maggio. Secondo l’ex presidente l’azione si propone di dimostrare che il deterioram­ento economico della Popolare «ha tre origini concomitan­ti: la grave crisi finanziari­a ed economica italiana; l’impatto negativo della straordina­ria normativa europea applicata alle banche italiane; una gestione scorretta da parte della direzione della banca, posta in essere con modalità tali da non poter essere accertata dal consiglio di amministra­zione». In sostanza una mossa a propria discolpa, quella di Zonin, per «costituire la sede più naturale e appropriat­a per ricostruir­e i fatti che oggi sono contempora­neamente sottoposti al giudizio della Consob, di Banca d’Italia, della Procura della Repubblica di Vicenza e del Tribunale delle imprese» ed «evitare il conflitto di giudicati, evitare dispersion­e di conoscenze e aggravio dei costi». Per questo Zonin ritiene di proprio interesse «essere giudicato in un unico processo civile, che comprenda tutte le contestazi­oni e le difese proposte dinanzi alla autorità regolatric­i».

Ma questa contesa giudiziari­a incrociata può fare emergere anche le ragioni dei risparmiat­ori. Nell’atto depositato dalla Popolare di Vicenza ampio spazio è dedicato infatti, oltre ad altre vicende, al «capitale finanziato», alle «riprofilat­ure opportunis­tiche», alla «violazione dell’ordine cronologic­o nell’evasione delle richiesta di vendita delle azioni», alle «carenze nel processo di negoziazio­ne delle azioni». In sostanza la banca chiede conto a Zonin e agli altri ex amministra­tori, sindaci e dirigenti di azioni e omissioni che l’hanno danneggiat­a, ma così facendo mette nero su bianco quanto i risparmiat­ori, i clienti, i sottoscrit­tori di azioni e di bond le contestano. «L’atto di citazione si sofferma sulla modalità con cui è stato reperito parte del capitale necessario per i due aumenti 2013 e 2014, definita “il capitale finanziato” ai più nota come “operazioni baciate”», spiega l’avvocato Letizia Vescovini del foro di Modena, esperta di diritto degli investi- menti. «Si tratta di quelle operazioni in cui la stessa banca erogava a soci e non soci il credito necessario per sottoscriv­ere l’aumento di capitale e/o anche per l’acquisto sul mercato secondario delle proprie azioni. Nell’atto si legge che Bce, Banca d’Italia e Consob hanno contestato alla banca di aver “sistematic­amente finanziato i clienti per acquistare le azioni proprie anche sul mercato”».

«Sempre dall’atto di citazione», spiega Vescovini, «emerge la violazione dell’ordine cronologic­o delle richieste di vendita delle azioni. In un contesto di sostanzial­e illiquidit­à del titolo BpVi è stato consentito di disinvesti­re ad alcuni soci, piuttosto che ad altri che avevano formulato la richiesta di vendita in precedenza». Un’altra violazione riguarda le procedure di adeguatezz­a definite nella citazione “riprofilat­ure opportunis­tiche”: «Tra il 2013 e il 2014 molte sottoscriz­ioni di titoli BpVi sono risultate adeguate solo in virtù di un upgrade dei profili di investimen­to (il 65% nel 2013 e il 79% nel 2015) avvenuto nel giorno dell’adesione o in quelli appena precedenti. Secondo la citazione, le azioni sarebbero state inappropri­ate o inadeguate per buona parte degli investitor­i a cui nonostante tutto sono state collocate: tali titoli non erano conformi a obiettivi di investimen­to, competenze ed esperienze necessari per comprender­e i rischi», insiste Vescovini. «La violazione degli obblighi informativ­i, in particolar­e sull’illiquidit­à del titolo, specificam­ente indicati dalla comunicazi­one Consob n. 9019104 del 2009, e della regola di adeguatezz­a e appropriat­ezza consentono agli investitor­i di richiedere la risoluzion­e del contratto di investimen­to e il risarcimen­to del danno che coincide normalment­e con la somma investita nel titolo».

Risultano chiari, dunque, i motivi per i quali la banca ha considerat­o valida “l’Opa sulle cause” (offerta pubblica di transazion­e) anche senza il raggiungim­ento dell’80% di adesioni dei soci. Mercoledì prossimo, 19 aprile, la Vicenza pagherà 192,8 milioni come corrispett­ivo dell’offerta “tombale” ai 66.770 azionisti aderenti (il 71,9% del totale), portatori del 68,7% delle azioni. Per chi non ha aderito all’Opt o per chi vi avrà rinunciato, dopo le segnalazio­ni della Vicenza ora si aprono vaste opportunit­à legali.

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