«Più Europa», ma il Pd litiga sui populisti
Zanda: rincorrere le forze «sovraniste» sul loro terreno allontana i cittadini dall’Ue
Sì all’Europa, anzi più Europa, ma non a questa Europa dell’austerity. Se c’è un argomento sul quale sono sostanzialmente d’accordo i tre candidati alla segreteria del Pd - Matteo Renzi, Andrea Orlando e Michele Emiliano - è proprio il tema della riforma dell’Unione europea. Con toni e spazi diversi, le tre mozioni congressuali vanno nella stessa direzione. Se Emiliano ritiene che l’Ue debba «invertire la rotta, rilanciando l’investimento pubblico per la crescita e la coesione sociale», le mozioni di Renzi e Orlando si soffermano sul tema in modo più dettagliato individuando almeno tre filoni di riforma: difesa comune, politica fiscale comune, golden rule per gli investimenti strategici.
Il tema europeo è in particolare centrale nella mozione “In cammino” di Renzi, che non a caso già nel titolo echeggia il movimento En Marche! del candidato alla presidenza francese Emmanuel Macron, considerato il paladino dell’Europa contro il populismo sovranista del Front National di Marine Le Pen. La mozione Renzi è l’unica che fa cenno al tema dell’Europa a due velocità, con un nucleo di integrazione politica imperniato sulle tre grandi democrazie dell’Eurozona, Italia Francia e Germania. Un modello «che veda rafforzata la legittimazione democratica del presidente della Commissione fino a giungere alla sua elezione diretta» e «che riduca l’area delle decisioni intergovernative costruendo effettivamente, sulla base del principio di sussidiarietà, un modello con due livelli di governo distinti, uno federale con adeguato bilancio da gestire e regole comuni e uno rinviato alla responsabilità degli Stati». Gli Stati Uniti d’Europa, insomma, con tanto di governo federale e di bilancio comune. Non c’è dubbio che il Pd di Renzi tiene alta la bandiera dell’europeismo, avvicinandosi in questo alle posizioni di Macron. E, contando sulla vittoria delle candidature progressiste ed europeiste in Francia (con Macron, appunto) e in Germania (con un buon risultato del socialdemocratico Martin Schulz), spera nella creazione delle condizioni per una svolta che allenti la morsa dell’austerità e rilanci investimenti e politiche per la crescita.
Tuttavia la centralità che il tema europeo si appresta ad avere nella lunga campagna di Renzi verso le elezioni politiche (è di queste ore il rilancio del tema dei migranti, con la minaccia di non approvare il bilancio Ue se i Paesi dell’Est Europa continuassero a rifiutarsi di accogliere la loro quota di migranti, e del tema dei Fiscal conpact, che ad avviso di Renzi deve restare fuori dai Trattati) comincia a preoccupare più di un big in casa dem. Scontata, se si vuole, la polemica in tal senso del competitor alle primarie del Pd Orlando, che avverte: «Se diventerò segretario non andrò in cerca di voti parlando male dell’Europa». Il problema per il Guardasigilli è presto detto: «Il governo Renzi non è stato antieuropeista, ma ha avuto un’ambiguità pericolosa che continua anche oggi. Se dici che l’Europa così com’è non va e non fai subito la tua proposta, le tue parole si scambiano con quelle degli euroscettici». Un concetto non da oggi caro all’ex premier Enrico Letta, che si è schierato con Orlando nella corsa congressuale: «Il Pd deve guidare il fronte pro-europeo e non allinearsi agli argomenti degli antieuropeisti, come troppe volte ho sentito fare. Tra la copia e l’originale, la gente sceglie l’originale». Ossia il M5S o la Lega, che sia pure con diverse sfumature puntano sul sovranismo e sull’uscita dall’euro.
Una preoccupazione, questa dell’involontario rischio populista, che attraversa anche i dirigenti schierati con Renzi nella corsa congressuale. A cominciare dal ministro Dario Franceschini, molto vicino al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Se alla fine Macron vincerà le presidenziali francesi – è il ragionamento che si fa da più parti in casa dem – è proprio grazie a una campagna schiettamente europeista di contrapposizione al sovranismo della Le Pen. La polemica sul Fiscal compact, ad esempio, rischia di essere solo populista se lasciata a se stessa, fa notare il costituzionalista vicino a Renzi Stefano Ceccanti: «Inutile attaccare il Fiscal compact quando il principio del pareggio di bilancio è scolpito nella nostra Costituzione con il nuovo articolo 81 - dice -. Se non si spiega che occorre una politica comune di sviluppo, la polemica contro il Fiscal compact rischia di finire fuori centro».
Il capogruppo del Pd in Senato Luigi Zanda, che nella corsa congressuale appoggia la candidatura di Renzi, la mette così: «La formula “più Europa”, comune a molti partiti europei, rischia di apparire fredda. Bisogna darsi delle tappe intermedie in grado di raggiungere anche il cuore degli europei: una difesa comune, una comune difesa dei confini europei per la sicurezza dei cittadini, un ministro dell’economia comune con un bilancio comune». Per Zanda è una questione di comunicazione politica più che di sostanza, sulla quale tutto il Pd è concorde: «I mantra devono essere questi obiettivi concreti, abbandonando formule populiste che potrebbero sembrare di successo politico più immediato ma che finiscono per allontanare ancora di più i cittadini dall’istituzione europea. Obiettivi concreti e prudenza nella critica, dunque. Il Pd deve mantenere alto il primato europeista che ha sempre avuto il popolo italiano».
NELL’AREA RENZIANA I dirigenti vicini all’ex premier fanno notare che a far vincere Macron in Francia potrebbe essere proprio la campagna europeista contro Le Pen