Addio al maestro della critica
La prima generazione di allievi di Giovanni Getto mostra subito l’accogliente generosità del Maestro. Con lui si formarono Edoardo Sanguineti ( 1930- 2010), poeta e critico, animatore del « Gruppo ’ 63 » , Claudio Magris, romanziere e critico, Giorgio Bárberi Squarotti ( scomparso il 9 aprile scorso), critico e poeta, Lorenzo Mondo ( Torino 1931), Marziano Guglielminetti ( 19372006); dando vita a un Istituto in cui si ritrovarono Riccardo Massano, Stefano e Angelo Jacomuzzi, Folco Portinari, e molti altri più giovani studiosi. Con la lezione di Benvenuto Terracini e Gian Luigi Beccaria, di Franco Simone e Lionello Sozzi si creò, nell’Università di Torino, una scuola letteraria di eccellenza, di cui sono testimoni ancora le riviste «Lettere Italiane», «Studi francesi», senza contare la più breve esperienza di « Sigma » .
Giorgio Bárberi Squarotti affiancò all’attività di docente di Letteratura italiana anche quella di direttore del «Grande Dizionario della Lingua Italiana» UTET, monumentale opera in 21 volumi, iniziata da Salvatore Battaglia nel 1961 e diretta da Bárberi dal 1971 sino al 2002: è un prezioso dizionario squisitamente letterario, a differenza di molte altre imprese ove la lingua d’uso predomina per poi spegnersi.
La sua opera critica e poetica è imponente e tocca tutti i secoli della letteratura italiana: innovativi furono i saggi su Giordano Bruno, Machiavelli, e Dante poi: il
suo Artificio dell’eternità ( Verona, Fiorini, 1972) resta tra i suoi saggi più significativi, così come La forma tragica del Principe ( Olschki 1966). Mentre Sanguineti con Interpretazione di Malebolge ( 1961) rinnovava la linea classica del primato dell’Inferno ( tra le cantiche della Commedia), Giorgio Bárberi, fedele alla linea tracciata da Giovanni Getto nel suo fondamentale e innovatore saggio Poesia e teologia nel Paradiso di Dante ( 1944), rinnovava la lettura del Paradiso, sino ai saggi raccolti in L’ombra d’Argo . Studi sulla “Commedia”, 1986, ove spicca un articolo – quasi dettato dall’alto del Paradiso – dedicato a La Firenze celeste: « La città terrena non è più da perseguirsi da parte del giusto Dante […]. Il riscatto è altrove, ormai: nel poema che racconta la visione, ma anche nella visione stessa come rivelazione dell’unica città perfetta che possa darsi per l’uomo » . Fu una linea tutta torinese, di “riscatto” del Paradiso, che s’incrementò con la parallela lezione di Angelo Jacomuzzi, L’imago al cerchio: invenzione e visione nella “Divina
Commedia” (1968) e con l a successiva chiamata, per chiara fama, di Allen Mandelbaum, insigne dantista e traduttore in inglese del poema. La Commedia a Torino era tutto: interminabili sessioni di esame riunivano, intorno al maggior poema, senza obbligo per altro di creare commissioni così folte, latinisti come Pier Paolo Fornaro, e medievisti insigni come Eleonora Vincenti, o visionari come Antonio Gagliardi. Dante fu «vital nodrimento», una scelta di impegno e di insegnamento contro le strettezze del presente.
Ma agli esordi Giorgio Bárberi non disdegnò neppure il cimento del metodo, specie in Astrazione e realtà ( 1960) e in Me
todo, stile, storia, 1962. Fu poeta di ombre: le «ombre delle capre», le «molli ombre dei funghi » ( da Notizie dalla vita, 1977), le « ombre degli steli » ( La declamazione one
sta , 1965) in un mondo arido, « arido come la canna del granturco » ( ivi ), contemplato con pena e distacco, nella umana « via di disfatte pietre e sterpi » ( Dal fondo del tem
pio, 1999), tra la lezione di Sbarbaro (al quale dedicò nel 1971 una monografia) e quella di Saba, tra segnali montaliani e ritmi pavesiani: « [ …] il rombo delle macchine / i mantelli neri sulle spalle, / le ceste, le mani strette, le notizie » ( ivi ).
Lo ricordo, con la sua i mmensa memoria, a scavare sempre – tra le pagine dei libri e della vita - «il cieco suono / nella mente».