Cento volte epopea d’Italia
Eroi della Corsa rosa non sono i corridori, ma i luoghi: perché legati a un episodio, a un’impresa o a una storia da raccontare
Sardegna in festa: il Giro d’Italia torna sull’isola dopo dieci anni. La prima tappa, la Alghero-Olb i a , s c a t t a i l 5 m a g g i o . L ’e n fant du pays, Fabio Aru, capitano sardo dell’Astana, infortunato, non ci sarà. Ma la festa rimane grande: dalla Sardegna parte infatti l’edizione numero cento della Corsa rosa. Cento odissee tra lampi di colore, duelli e fughe sullo sfondo della storia e della geografia d’Italia. Cento edizioni, un numero tondo come due ruote di bicicletta, intervallate solo da due lunghi e drammatici surplace, le guerre mondiali.
Sono passati 108 anni da quelle ore antelucane del 13 maggio 1909, quando a Milano, alle tre del mattino, iniziarono a pedalare dal rondò di piazzale Loreto 128 corridori, tra i quali tre ciclisti francesi. Era l’inizio della prima tappa del primo Giro d’Italia, la MilanoBologna. Così raccontò la partenza la Domenica del Corriere: «Era uno spettacolo strano e insolito quell’incrociarsi di auguri e di saluti, quello scintillio di ruote, quello strepito di automobili, quel grido confuso sotto le tenui stelle. Al “viaaa!” il plotone dei corridori saltò sulle macchine partendo fulmineamente, mentre un poderoso lampo di magnesio illuminava la scena».
Cento edizioni della Corsa rosa hanno insegnato che i veri protagonisti del Giro d’Italia non sono i corridori. Il passaggio della carovana è un lampo, uno scroscio di raggi, un fremito nervoso che poi, dopo ore di paziente attesa, lascia gli spettatori svuotati e increduli. Le star del Giro d’Italia non sono Ganna, Coppi, Bartali, Saronni, Moser, Gimondi, Merckx, Hinault, Indurain, Pantani, Contador, Nibali. I fuoriclasse sono i luoghi attraversati dal Giro: i passi, le pianure, le montagne, i borghi. Gli angoli più belli d’Italia diventano indimenticabili anche perché, un giorno, hanno fatto da quinta teatrale a una pagina di gloria
| La partenza da Milano del primo Giro d’Italia, alle tre del mattino, il 13 maggio 1909. Tavola di Achille Beltrame dalla «Domenica del Corriere» del 23-30 maggio 1909
del ciclismo. Sono diventati memoria collettiva, patrimonio condiviso del Paese.
Nel suo ultimo lavoro, Storia e geografia del Giro d’Italia, Giacomo Pellizzari, scrittore e giornalista sportivo, ausculta il battito sotterraneo delle cento edizioni della Corsa rosa e ci restituisce le storie e le curiosità dei luoghi che hanno fatto l’epopea del Giro. «Perché la bicicletta - spiega l’autore - non è solo uno sport, ma un modo di vedere le cose». E allora esiste un Giro d’Italia immaginario, quello ideato da
Pellizzari in 21 tappe, da nord a sud, dove non basta più l’occhio della telecamera che dall’alto, a volo di elicottero, segue la carovana dei ciclisti e scruta il meraviglioso paesaggio italiano. Con Pellizzari si scende sull’asfalto, sullo sterrato, sul pavè. Si ripercorrono da vicino, al rallentatore, gli ultimi chilometri, si vede quello che i ciclisti, accecati dalla fatica e dall’agonismo, dalla pioggia o dalla neve, non riescono neanche a immaginare.
«Sono loro, i luoghi - scrive Pellizzari - a de- cidere se trasformare un ciclista in una maglia rosa oppure no. Se rendere una tappa memorabile oppure una banale frazione di trasferimento». Niente di più vero, soprattutto se a scrivere la sceneggiatura della corsa intervengono una tempesta di neve, una foratura, o una giornata di caldo feroce. Pellizzari racconta gli anfiteatri naturali attraversati dal Giro. Al cui confronto i ciclisti appaiono ora eroi omerici, ora fugaci macchioline colorate che scivolano via come gocce di mercurio.
I campioni scendono prima o poi dal piedistallo, a volte mettono nel motore sostanze proibite. La geografia del Giro d’Italia, invece, rimane eroica e immortale. I passi, le montagne, le città sono le vere “ammiraglie” dalle quali partono gli ordini ai corridori. Vincenzo Torriani, lo storico direttore di tante edizioni della Corsa Rosa, questo lo sapeva molto bene. È Torriani che ha tirato fuori dal cilindro del Giro alcune soluzioni apparentemente surreali, come fare sbarcare i ciclisti a Venezia nel 1978, costringendoli a passare su traballanti pedane mobili per andare da Marghera a piazza San Marco. È sempre Torriani che, per fare concorrenza al l eggendario Tour de France, va a scovare misteriose montagne mangia-ciclisti, come il Gavia, inserito per la prima volta nel tracciato del 1960.
I luoghi del Giro scolpiscono i corridori. Il Mortirolo, con le sue crudeli rampe da garage, ha disegnato nella memoria collettiva l’immagine di Pantani che scatta a ripetizione con la smorfia della sofferenza stampata sul volto. Il Pordoi ha messo in moto le leve di Coppi, fluide, potenti ed eleganti nonostante quella silhouette un po’ goffamente adagiata sulla sella. Le tre Cime di Lavaredo sono un luogo maestoso, quasi predestinato ad aprire il passo agli eroi. Qui, nel 1968, ha fatto irruzione Eddy Merckx, considerato, a torto o a ragione, il ciclista più forte di tutti i tempi. Alle Tre Cime il ciclista belga sprigionò tutta la sua potenza. E un anno dopo, in un altro inconfondibile paesaggio italiano, tra le case colorate della Liguria strette tra mare e monti, Merckx rivelò tutta la sua fragilità: ad Albisola, Eddy fu trovato positivo al controllo anti-doping, e pianse davanti alle telecamere come un bimbo.
Nell’edizione numero 100 del Giro d’Italia ci saranno altre prime volte, altri duelli, altre montagne da scalare, altre corse contro il tempo. E saranno nuove, indelebili tappe di una delle storie più popolari d’Italia. I luoghi e i racconti del Giro d’Italia rimangono. Per sempre.
Giacomo Pellizzari, Storia e geografia del Giro d’Italia, Utet, pagg. 235, € 15