La rinascita del Quadraro
scono, e collaborano. È istruttivo raccontare la storia di questo piccolo fenomeno, per capire come la cultura possa anche essere lievito per migliorare il tessuto sociale, e il sentimento civile.
I primi artisti migrarono qui alla fine degli anni ’90, attirati dalla disponibilità di magazzini ed ex officine da adibire a studio, a costi assai inferiori rispetto ad altre aree cittadine. Affittare al Quadraro costa un terzo rispetto a un altro ex quartiere operaio come San Lorenzo, oramai di gran moda, e addirittura un quarto, o un quinto, rispetto a Trastevere, o al centro storico. E anche per questo ( oltre che per l’invecchiamento della popolazione residente) i centri delle grandi città italiane appaiono sempre più estranei all’innovazione.
La seconda scintilla ( e qui entra in gioco l’importanza della manutenzione della memoria) scoccò nel 2014. Cadeva il settantesimo anniversario del rastrellamento tedesco al Quadraro del 17 aprile del 1944. Un migliaio di deportati dei quali la metà non tornarono a casa, la più grande operazione di questo tipo condotta a Roma dalla Wehrmacht dopo il rastrellamento del Ghetto. Le associazioni culturali locali Punti di svista e Via Libera, in- sieme al Centro sociale Spartaco, decisero di celebrare coinvolgendo nelle iniziative gli artisti insediati nel quartiere. Funzionò: gli abitanti riscoprirono l’orgoglio identitario grazie alla rievocazione di quel dramma ormai quasi dimenticato, e artisti e residenti ebbero l’occasione di fare diretta conoscenza. Nel 2015 e nel 2016 questo legame è stato rafforzato con una giornata di apertura al pubblico di tutti gli studi del Quadraro. E sempre nello spirito di radicare una memoria condivisa anche attraverso l’arte, nello scorso marzo l’artista Massimo De Giovanni ha installato in giro per il quartiere cinque lapidi commemorative dove sono trascritte storie e ricordi locali.
Passeggiare al Quadraro, che ha un’aria più paesana nella sua porzione sinistra, verso la Casilina, e più urbanizzata in quella destra verso l’Appia, significare respirare l’aria di una periferia non certo immune da asprezze, e da brutture, ma vivace, solidale, colorata ( la serie dei murales allineati su via dei Lentuli, risalente al 2010, è stata tra le primissime a Roma), popolata da pittori, scultori, orafi, fotografi, e impegnata in uno sforzo anarchico e spontaneo per valorizzare la propria identità.
C’e un grande spazio espositivo, lo Spazio Y ricavato da un locale offerto dalla Croce Verde Roma , che il pittore Paolo Assenza mette a disposizione di giovani artisti insieme ai suoi due soci Arianna Bonamore e Germano Serafini. C’è una palestra popolare allestita in un ex garage pertinente al famoso edificio « a boomerang » progettato da Libera in largo Spartaco. C’è un piccolo parco per ospitare eventi estivi, cechovianamente denominato Giardino dei ciliegi, e creato bonificando un terreno un tempo ostaggio di ladri e spacciatori. C’è un’associazione, Nido di vespe, che organizza una cucina popolare dove si può mangiare per pochi euro. Un’altra associazione, Res Nova Sportiva 2000, ha impiantato, addirittura, una finta parete per insegnare a tutti la tecnica del free climbing.
La gentrificazione che interessa molte periferie occidentali qui è più graduale, e gentile; gli artisti portano un po’ di grazia, e ci sono cura, e solidarietà. Otto anni fa è caduta in via dei Juvenci la più vetusta quercia di Roma, risalente al 17° secolo. Subito è nato un comitato per salvarla. Oggi è di nuovo in piedi, sia pure sostenuta da imbracature metalliche; e sembra un monumento all’ottimismo.