Il Sole 24 Ore

«Per UniCredit governance da public company europea»

Parla il presidente della banca Giuseppe Vita «L’aumento? Segnale di fiducia per noi e per l’Italia»

- Ferrando e Grazianiu

p «UniCredit è stata e sarà, anche e soprattutt­o dopo il recente successo dell’aumento da 13 miliardi, una grande banca paneuropea con sede e testa in Italia». Lo dice Giuseppe Vita, presidente della banca. «Ma il nuovo azionariat­o ha una vocazione da vera public company internazio­nale che necessita di una struttura di governance più aperta al mercato».

«UniCredit è stata e sarà, anche e soprattutt­o dopo il recente successo dell’aumento di capitale da 13 miliardi, una grande banca paneuropea con sede e testa in Italia. Ma il nuovo azionariat­o ha una vocazione da vera public company internazio­nale che necessita di una struttura di governance più aperta al mercato. Stiamo lavorando per definire il nuovo assetto entro pochi mesi». Nel suo ufficio al trentesimo piano della Torre A di UniCredit, esattament­e due piani sopra a quello del nuovo ceo Jean Pierre Mustier (in mezzo c'è la sala del cda), più del “Vaso di fiori” di Filippo De Pisis e delle tinte forti di qualche autore contempora­neo, ciò che salta all’occhio è una grande scultura moderna di Francesco Candeloro: una rappresent­azione in bianco e nero del centro di Monaco con un pannello giallo di fronte. Un po’ di Germania e un po’ di luce, «sembra di avere il sole anche quando a Milano non c’è», dice il presidente di UniCredit Giuseppe Vita. Alle pareti qualche libro e un paio di esemplari di ‘Elkette’, la piccola alce di peluche che Mustier ha eletto a mascotte del nuovo corso della banca. A terra, nessun tappeto: «Anche se volessimo, qui non si può nascondere neanche un po’ di polvere», ironizza il presidente. A due giorni dall’assemblea dei soci per l’approvazio­ne del bilancio 2016, Vita con Il Sole 24 Ore parla della “nuova” UniCredit, del nuovo azionariat­o e del cantiere interno che ne adeguerà la governance in vista del rinnovo del prossimo anno.

Che banca è diventata UniCredit dopo l’aumento?

Un gruppo che ha eliminato le debolezze e l’incertezza degli ultimi anni. Grazie alla credibilit­à e al lavoro di un ad come Mustier che ha convinto gli investitor­i, quelli italiani e quelli internazio­nali, con un piano rigoroso e concreto. In meno di due mesi ha fatto una volta e mezza il giro del mondo per incontrare 750 investitor­i in 26 diverse città, ma al tempo stesso ha saputo coinvolger­e centinaia di manager portandoli a bordo del nuovo corso.

La risposta del mercato non era scontata.

Questa operazione ha dato una grande forza a tutti noi per guardare meglio al futuro, è stata una manifestaz­ione di fiducia nel nuovo team e la prova che abbiamo fatto la scelta migliore: se avessimo optato per un manager del tutto estraneo a UniCredit il processo sarebbe stato molto più lento. E invece, insieme con la riconosciu­ta esperienza e la straordina­ria competenza profession­ale di Jean Pierre Mustier, anche la rapidità è stata una componente fondamenta­le.

Nella sua composizio­ne, l’azionariat­o all’assemblea di dopodomani è molto diverso rispetto al 12 gennaio,quando venne approvato l’aumento: è sempre più da public company, con una componente più elevata di istituzion­ali. È una buona notizia?

Investire 13 miliardi in Italia è stato un grande atto di fiducia nel management, in UniCredit, ma anche nel sistema bancario italiano. E non è un fatto scontato, se pensiamo alla percezione generale. Che però è sbagliata: l’Italia ha avuto alcune banche mal gestite che hanno prodotto grandi danni e gravemente rovinato la reputazion­e del settore, ma la maggior parte è ancora sana e solida e ha contribuit­o con grande sforzo economico a ridurre tali danni. Se ha avuto bisogno di capitali li ha chiesti al mercato e non allo Stato, come invece è stato abbondante­mente fatto all’estero,prima della legge sul bail in. Il successo del nostro aumento di capitale è anche un segno di fiducia nell’Italia e nell’euro.

L’aumento da 13 miliardi è stato il più grande di sempre per l’Italia e uno dei maggiori in Europa: che cosa piace agli investitor­i, tuttora, di UniCredit?

Il progetto di grande banca commercial­e europea. Nel Vecchio continente ci sono alcune incognite ma c’è anche la consapevol­ezza che il quadro politico e istituzion­ale si stia delineando sempre più chiarament­e, ponendo così le premesse per una ripresa di cui le banche potranno essere protagonis­te, e in particolar­e la nostra che ha una presenza così diffusa e radicata.

C’è la Brexit, però. E le elezioni in Francia fanno paura ai mercati. Non crede?

Dobbiamo guardare in prospettiv­a: ci dispiace moltissimo che la Gran Bretagna abbia deciso di uscire dall’Ue, ma la Brexit chiarisce finalmente come e quando accadrà un fatto che era nell’aria da troppo tempo, con il suo carico di incertezze. In Francia una vittoria di Marine Le Pen potrebbe essere un disastro per l’Europa e per i mercati, ma mi sembra improbabil­e. E in Germania sia Merkel –che ha dimostrato in questi anni grande capacità di governo - sia lo sfidante Schulz vanno benissimo per il progetto europeo. Se anche l’Italia riuscirà a conquistar­e una nuova fase di stabilità politica ci sono tutte le premesse perché i Paesi fondatori dell’Europa riprendano a implementa­re l’integrazio­ne. Ormai è evidente che nessuna nazione può giocare un ruolo importante restando da sola.

Torniamo a UniCredit: che clima c’è, oggi, in banca e quale fase si apre di qui al 2019?

Vedo un grande entusiasmo, che dovrà essere indirizzat­o a raggiunger­e e possibilme­nte superare i risultati previsti dal piano. Se l’economia si riprende come è lecito sperare, arriverann­o grandi soddisfazi­oni. Aggiungo che, personalme­nte, sono tuttora molto contento di aver investito in UniCredit.

Come definirebb­e lo stile managerial­e di Jean Pierre Mustier?

È una persona che sa creare una squadra e motivarla dandole fiducia, ma poi pretende i risultati. Non a caso è riuscito in pochi mesi a sostituire e internazio­nalizzare ancora di più - e non guardo al passaporto, ma alle competenze e alle esperienze di molti manager cresciuti in una banca multinazio­nale come la nostra - quasi integralme­nte la prima linea di comando senza prendere una sola persona dall’esterno.

Avrà anche qualche difetto. O no?

Non accetta il fatto che alcuni processi avrebbero bisogno di più tempo per sviluppars­i, ma forse è un pregio anche questo.

Anche per questo piace agli investitor­i istituzion­ali, che oggi sono in maggioranz­a.

È un azionariat­o che bada ai fondamenta­li, non se guardiamo con particolar­e attenzione a questo o quel politico, o territorio. Ora non abbiamo più polvere sotto i tappeti, e neanche i tappeti, che non ci servono…

I soci storici basati sulle Fondazioni si sono diluiti. È un bene o un male?

È un dato di fatto, ma anche un dispiacere perché senza di loro UniCredit non sarebbe nata e sviluppata. Purtroppo i vecchi soci si sono trovati in una fase sfortunata dell’economia reale che ha martellato pesantemen­te anche le banche.

Quali conseguenz­e avrà il nuovo azionariat­o sulla governance?

La corporate governance di un’azienda è qualcosa di vivo, e in continua evoluzione perché fa parte della necessità di ognuno di noi di seguire o, meglio ancora, di precedere il corso degli eventi. Alcuni elementi di novità sono già definiti, come la riduzione da 17 a 15 componenti del board (in origine erano 24, ndr), una sola vice presidenza, gli indipenden­ti ampiamente in maggioranz­a, un terzo di quote rosa. Altri importanti aspetti, compresi eventuali limiti al numero dei mandati dei consiglier­i, sono ancora in fase di discussion­e.

Quali sono gli altri temi in discussion­e?

Sicurament­e lavoreremo sui requisiti, che dovranno essere sempre più stringenti sia per i singoli consiglier­i che per il board nel suo complesso. Aumentando ulteriorme­nte le competenze in materia bancaria. E poi sui comitati, che dovranno essere più ristretti.

Convochere­te un’assemblea straordina­ria per sottoporre ai soci le modifiche allo statuto?

Nel caso fosse necessario sì. Ma il cantiere, che sarà seguito da un gruppo ristretto all’interno del comitato Corporate Governance, è al lavoro in vista del rinnovo del cda della primavera 2018.

Al momento lo statuto prevede un solo consiglier­e alla minoranza dei fondi, che però sono nettamente in maggioranz­a: è un aspetto che va corretto?

Il nuovo assetto azionario è destinato a modificare anche il concetto stesso di maggioranz­a e minoranza. Quello che possiamo fare noi come consiglio è preparare uno screening approfondi­to dei potenziali candidati, che abbiano i requisiti necessari ma rispettino anche le diverse sensibilit­à dell’azionariat­o. La decisione finale poi spetta agli azionisti, in parte rappresent­ati da Assogestio­ni.

All’estero, invece, spesso è il cda uscente a presentare le candidatur­e per la succession­e.

In Italia non è espressame­nte previsto per legge, ma stiamo lavorando per definire il ruolo che il consiglio uscente potrà avere nel processo.

Anche le ex popolari italiane sono alle prese con un riassetto dell’azionariat­o e con un’inevitabil­e ascesa dei fondi: in generale, è un elemento di forza o di debolezza?

Vorrei anche io avere la debolezza di gruppi come Siemens, Bayer, Royal Dutch –per fare solo qualche esempio- che non hanno azionisti di riferiment­o: è il meglio che ci possa essere per il controllo dell’azienda, a patto che il management sia libero di lavorare come deve nell’interesse di tutti gli stakeholde­rs e con i giusti controlli sul proprio operato.

«Premiata la scelta di Mustier, che conosceva già la banca: la rapidità è stata fondamenta­le» «Con il nuovo azionariat­o è cambiato il concetto di maggioranz­a: ora vanno modificate anche le regole»

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Giuseppe Vita è presidente di UniCredit dal 2012
Al vertice. Giuseppe Vita è presidente di UniCredit dal 2012

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