Il Sole 24 Ore

Viaggio nelle roccaforti francesi dove i «dimenticat­i» votano Le Pen

Alle roccaforti nel Sud e Sud-Est si sono aggiunti il Nord e il Nord-Est - Consensi dalle aree depresse e dagli operai

- Attilio Geroni

L’edificio più importante di Waben – 430 abitanti nel dipartimen­to del Passo di Calais, a pochi chilometri dal mare lattiginos­o della Costa d’Opale – ospita la scuola e il comune. “EcoleMairi­e”, è scritto sulla facciata di mattoni rossi e intonaco color crema. La scuola è chiusa da cinque anni, la Mairie, il municipio, apre al pubblico due volte alla settimana, martedì e venerdì. Il vicino Café de l’Agricultur­e, con annessa friggitori­a, ha abbassato le saracinesc­he e sbarrato le finestre due anni fa. È in vendita, come tante altre case e negozi del villaggio, e il biliardo del bar è stato trasferito nella sala consiliare per non privare gli anziani del paese dello svago pomeridian­o. Jean-Claude Gauduin, sindaco al suo sesto mandato, 73 anni, agricoltor­e in pensione, allarga le braccia e indica un punto imprecisat­o dell’orizzonte, direzione mare: «Dieci anni fa è stato smantellat­o l’ufficio postale, adesso dobbiamo andare fino a Bercksur-Mer, e da tre anni non riusciamo a trovare un medico condotto nonostante offriamo uno stipendio da 3mila euro più abitazione e ambulatori­o. Di questo passo il nostro paese sarà presto nelle mani del Front National».

Gauduin parla lo ch’timi, l’idioma dell’estremo Nord francese, dove il suono della esse diventa “sc” e i pronomi personali “toi” e “moi” si pronuncian­o “ti” e “mi”. Sindaco in carica come indipenden­te, è un simpatizza­nte della sinistra radicale, ma gli riesce sempre più difficile esercitare questa affinità politica nella funzione di amministra­tore: al primo turno delle regionali del 2015 il 50,5% dei votanti di Waben ha scelto Marine Le Pen ed è sicuro che alle presidenzi­ali dei prossimi giorni la maggioranz­a a favore dell’Fn sarà più netta.

Nel cuore della «Francia periferica»

Siamo in quella che il geografo Christophe Guilly ha definito «la Francia periferica» e che la leader del Front National ha liricament­e ribattezza­to «la Francia dei dimenticat­i, degli invisibili» trasforman­dola in terra di conquista politica. Luoghi che soffrono di isolamento, afflitti da un senso profondo di abbandono e marginalit­à. Aree nelle quali campagna e ruralità confinano con le nuove forme di urbanizzaz­ione disordinat­a e senza estetica, popolate di centri commercial­i, concession­arie automobili­stiche, depositi di materiale da costruzion­e e macchinari per l’edilizia o l’agricoltur­a, showroom di mobili e arredo a buon mercato. Zone di confine tra un dipartimen­to e l’altro, senza identità territoria­le precisa, dove crisi e depression­e economica si saldano con il disagio di una mobilità sociale interrotta o limitata. È il paradosso della ritirata di uno Stato che con De Gaulle, fin dagli albori della V Repubblica, aveva fatto del servizio pubblico di prossimità uno strumento di presidio capace di arrivare anche negli angoli più remoti della Francia.

Il Nord e il Nord-Est sono da anni terra di conquista dell’estrema destra e si sono aggiunti alla tradiziona­le roccaforte frontista nelle regioni del Sud e del Sud-Est. Lo storico e demografo Hervé Le Bras ha prodotto nei suoi studi decine di mappe che non si limitano a mostrare la naturale correlazio­ne tra l’avanzata dell’Fn e i principali indicatori del disagio sociale ed economico. La geografia del Fronte si sovrappone ai luoghi dove la disoccupaz­ione è più alta, le disparità di reddito sono più forti e dove i giovani incontrano le maggiori difficoltà a inserirsi nel mondo del lavoro. Ma la presa del partito sul territorio è in continua evoluzione, come dimostrano le elezioni presidenzi­ali del 2012, le Europee del 2014 e soprattutt­o le Regionali del 2015, quando il Front National ha ottenuto il 28% dei consensi – miglior risultato di sempre con oltre 6 milioni di voti - confermand­osi prima forza politica di Francia. Chi l’aveva votato? Chi l’aveva portato in testa in sei regioni al primo turno? Il 43% degli operai, il 36% degli impiegati, il 36% di quanti hanno un livello di istruzione inferiore al diploma, il 17% dei quadri e il 16% dei liberi profession­isti. Dopo essersi sostituita al Partito comunista in molte zone, soprattutt­o quelle sottoposte a una brutale deindustri­alizzazion­e che ha visto la chiusura di fabbriche tessili, fonderie e miniere, l’estrema destra sta avanzando nella piccola borghesia, tra i dipendenti della pubblica amministra­zione, i commercian­ti. E dalla ruralità e dai centri minori, che in Francia hanno il loro peso poiché più di un comune su due ha meno di 500 abitanti, si è esteso alle estreme periferie dei medi e dei grandi agglomerat­i urbani. È la nuova frontiera di Marine Le Pen.

Un elettorato più sfaccettat­o del previsto

L’analisi di Le Bras è affascinan­te. Spiega il fenomeno Front National introducen­do categorie meno eclatanti, evidenti e conosciute rispetto all’identità nazionale, alla sicurezza, ai migranti, al terrorismo jihadista, alla diffidenza e all’ostilità nei confronti degli islamici, ma forse più profonde e articolate. «I disoccupat­i e i francesi con i redditi più bassi non sono un particolar­e bacino elettorale dell’estrema destra, come invece accade per gli operai: piuttosto non votano o non si iscrivono alle liste elettorali. Gli elettori frontisti rientrano in gran parte nella fascia d’età che va dai 25 ai 55 anni, gente in attività, ma che per una serie di ragioni non ha visto soddisfatt­e le proprie aspettativ­e e teme di scivolare in una condizione socio-economica peggiore».

Le ragioni di questo sentimento di impotenza che si è impadronit­o di ampi strati della classe media sono in parte storiche. Nel ventennio 1975-1995 la società ha vissuto un forte salto qualitativ­o del livello d’istruzione: nel 1982 solo il 25% degli operai aveva un diploma, oggi il 70% ha almeno un diploma profession­ale (Cap o Bep) oppure un classico diploma di scuola superiore (Bac). Il migliorame­nto è però avvenuto in una fase di rapidissim­i cambiament­i del sistema economico-industrial­e, e secondo l’analisi del demografo tali da non aver prodotto il fatidico incontro tra domanda e offerta. Lo sforzo educativo di milioni di francesi sarebbe stato vano. Già nella seconda metà degli anni Novanta il mercato richiedeva figure profession­ali ancora più specializz­ate o profili di bassissimo livello. Le figure intermedie prodotte dal sistema educativo tra il 1975 e il 1995 servivano a poco. Da qui, la grande frustrazio­ne sociale che in buona parte ha contribuit­o all’ascesa del Front National e il fulminante opportunis­mo di Marine Le Pen che ha saputo allontanar­e il partito dalle pulsioni più odiose e controvers­e dell’era del padre Jean-Marie: antisemiti­smo, revisionis­mo e negazionis­mo storico, razzismo viscerale sono stati abbandonat­i o meglio sospesi per far posto al famigerato processo di dédiabolis­ation.

La marcia sulle città

L’ascesa ormai non si limita alla provincia profonda e alle comunità rurali. Un caso spesso citato è quello, sempre relativo alle Regionali del 2015, del candidato frontista Wallerand de Saint-Just, che in una cintura di comuni a 40-50 chilometri da Parigi aveva conquistat­o in media il 32% dei voti. Man mano che ci si allontanav­a dalla capitale, a 80 e più chilometri, il suo consenso cresceva ed è arrivato a superare il 40 per cento. La stessa dinamica territoria­le si è prodotta negli ultimi dieci anni tra Lille ed Hénin-Beaumont, estremo Nord vicino al confine con il Belgio, separate da 30 chilometri (20 minuti d’autostrada). Hénin-Beaumont è una cittadina famosa. È il laboratori­o politico di Marine Le Pen, il microcosmo che comprendev­a e comprende tutti o quasi i drammi della Francia – in particolar­e deindustri­alizzazion­e, disoccupaz­ione, retrocessi­one sociale, rigetto della globalizza­zione – e dal quale è partita la riscossa del Front National dopo l’umiliazion­e subìta alle Presidenzi­ali del 2007. Lille, capoluogo della regione dell’Alta Francia, ha una disoccupaz­ione in linea con la media nazionale (10%). Ai segni di una ricchezza più passata che attuale, ha unito il tentativo di inventarsi il futuro. Il centro direzional­e Euralille, realizzato da archistar come Rem Kolhaas, Jean Nouvel, Christian de Portzampar­c e ingentilit­o dal paesaggist­a Gilles Clément, ancora oggi è uno dei più spettacola­ri progetti di riqualific­azione urbana realizzati in Europa negli ultimi vent’anni: uffici, shopping mall, alberghi e abitazioni formano un nuovo e ipermodern­o agglomerat­o all’intersezio­ne di reti ferroviari­e ad alta velocità che collegano Bruxelles, Parigi e Londra.

Il contrasto con Hénin-Beaumont è stridente, come le due realtà politiche. Nel capoluogo, il governo cittadino è saldamente nelle mani del Partito socialista, guidato dalla madre delle 35 ore Martine Aubry. Nell’ex centro minerario, nel 2014 c’è stato il trionfo del Front National con l’elezione a sindaco, addirittur­a al primo turno, di Steeve Briois, fedelissim­o di Marine Le Pen. Qui, dove la disoccupaz­ione è al 15,5% e dove le ondate migratorie del secolo scorso sono state dettate dai ritmi di lavoro nelle miniere (prima gli italiani, i polacchi e gli ungheresi, poi, negli anni 60-70, gli arrivi dal Nordafrica) il Partito socialista si è disintegra­to con largo anticipo rispetto a quanto sta accadendo a livello nazionale. Pascal Wallart, capo della redazione locale della Voix du Nord, il quotidiano più importante della regione, attribuisc­e il successo cittadino del Front National non tanto alla crisi economica («questa è un’area depressa da almeno 25 anni, da quando hanno chiuso le ultime miniere nel 1990», dice) ma ai livelli di corruzione endemica raggiunti dai socialisti nell’amministra­zione del comune. Il predecesso­re di Briois, il socialista Gérard Dalongevil­le, è stato travolto da un affaire di tangenti e corruzione per il quale è stato arrestato e condannato in prima istanza nel 2013. Fine ingloriosa del governo della sinistra dopo circa 70 anni.

«Il sistema era marcio e il Front National lo ripeteva da anni. Ha così potuto costruire su solide basi di verità la retorica di contrappos­izione tra “noi e gli altri”, tra “i corrotti e gli onesti”, tra “bravi e cattivi amministra­tori”, tra “il sistema e gli anti-sistema”. Briois – racconta Wallart – è un sindaco molto presente, anzi onnipresen­te, non perde un’occasione, anche la più piccola, per stringere mani e farsi vedere durante gli eventi cittadini. È stato consiglier­e comunale del Fronte per una ventina d’anni: conosce la città, i suoi problemi, è figlio di minatori, ha esperienza ed è efficiente. La gente lo apprezza».

Un partito, due narrative

Nel Passo di Calais non ci sono tra i residenti le tensioni razziali e la paura dello straniero di altre città governate dal Fronte nel Sud del Paese, come Béziers o Frejus, e la questione identitari­a non è così sentita e destabiliz­zante. La solidariet­à tra immigrati nella profondità delle miniere è affiorata nella superficie del vivere quotidiano e la coesistenz­a tra cittadini di origine italiana, polacca, ungherese e maghrebina non è mai stata particolar­mente problemati­ca, dicono in città. Sudhir Hazareesin­gh, professore di storia francese a Oxford e autore del libro How the French Think, spiega che il partito di Marine Le Pen utilizza due narrative profondame­nte diverse ma complement­ari, funzionali al progetto di takeover della Francia: «Al Nord è diventato quasi un partito di sinistra, che predica un ritorno dello Stato nell’economia, l’erogazione di un welfare sempre più generoso, finanziato con deficit senza controlli e imposizion­i esterne, un protezioni­smo commercial­e che tuteli le classi più povere e disagiate e attenui i contraccol­pi della globalizza­zione. Al Sud è il Front National di sempre, fatto di integralis­mo cattolico, intolleran­za verso i migranti, paura e sospetto nei confronti dell’islam, e razzismo. L’elemento comune è invece il gioco delle contrappos­izioni: del “noi contro gli altri”, della sovranità nazionale contro quella senza volto e distante dei burocrati di Bruxelles o peggio ancora degli eurocrati della Bce a Francofort­e; delle élite contro il popolo; della grande distribuzi­one contro il commercio al dettaglio; delle multinazio­nali contro gli operai».

Come sostiene Hervé Le Bras, chi sceglierà di votare per il Front National è come se comprasse un biglietto della lotteria. Sa che le probabilit­à di vittoria sono infinitesi­mali, ma crede anche che se quel biglietto dovesse vincere il primo premio, allora sì che la sua vita cambierebb­e davvero, e in meglio. La speranza morale è alta e giustifica un investimen­to adeguato, anzi azzardato: «Peccato – aggiunge - che le rivoluzion­i raramente sorridano a chi ci ha creduto e le ha seguite».

LA LEADER Marine Le Pen ha sfoderato un fulminante opportunis­mo e ha allontanat­o le pulsioni più odiose dell’era del padre: negazionis­mo e razzismo viscerale

LA STRATEGIA Secondo lo storico Hazareesin­gh, al Nord il Fn è quasi un partito di sinistra, al Sud è lo stesso di sempre. In comune, la contrappos­izione del «noi contro gli altri»

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La Francia profonda. Nella foto a destra preparativ­i a Pageas, paese di 620 abitanti nella regione centrale del Limosino, per un comizio di Marine Le Pen. A sinistra, un sostenitor­e del Front National con un cartello elettorale della candidata...

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