Riforme, con la manovra attuazione «stabile» al 77%
Progressi nonostante il cambio di governo ma pesa la legge di bilancio
pLa crisi di governo e il passaggio di testimone tra Matteo Renzi e Paolo Gentiloni non bloccano l’attuazione delle grandi riforme per rilanciare l’economia. Se alla vigilia del referendum del 4 dicembre (data dell’ultimo rating del Sole 24 Ore) la percentuale di decreti applicativi adottati sfiorava il 78%, dopo quattro mesi e mezzo il valore si è mantenuto in sostanza stabile, al 77,3 per cento. E questo nonostante lo stock complessivo di provvedimenti da smaltire sia cresciuto a quota 1.160 a seguito dei 79 legati all’ultima legge di bilancio varata dalle Camere a fine novembre 2016.
Da una parte ha pesato la fase di avvio del nuovo governo, che di fatto ha impiegato poco meno di due settimane per varare la prima misura di peso (quella per la tutela del risparmio). Un periodo che ha permesso agli uffici legislativi dei ministeri di smaltire i decreti ereditati dai tre esecutivi precedenti (quelli di Mario Monti, Enrico Letta e Matteo Renzi). Dall’altra la manovra 2017 lasciata in eredità da Renzi aveva tutto sommato un numero di decreti minori rispetto agli anni precedenti: la stabilità targa- ta 2016 era, infatti, partita con una dote di oltre 150 provvedimenti, scesi oggi a quota 130, in quanto non più necessari perché superati da altre leggi. Non va trascurato, infine, l’effetto della riforma Madia che ha introdotto il silenzio-assenso al concerto tra ministeri, considerato il vero collo di bottiglia del percorso dell’attuazione.
Con il lavoro del governo Renzi e di quello appena iniziato da Gentiloni, resta ormai residuale il percorso di smaltimento delle norme ereditate dagli esecutivi di Monti e Letta, tutte successive a gennaio 2012. Con un tasso di attuazione salito rispettivamente all’ 89,2% (dall’87% dell’ultimo monitoraggio di metà novembre) e al 85,2% (tre punti in più). Per quel che riguarda i provvedimenti targati Renzi, il grado di smaltimento si abbassa di poco, dal 67,1% al 66,5%, proprio per effetto della manovra entrata in vigore il 1° gennaio 2017. Che ha al suo attivo 14 provvedimenti varati ( il 17,7%), anche se ne mancano ancora 65, di 23 già scaduti. Anche perché le scadenze fissate dall’ultima legge di bilancio erano piuttosto stringenti con una trentina di decreti prevista entro i primi due mesi. Un’agenda fitta che in molti casi non ha consentito di rispettare i tempi, mettendo a rischio slittamento anche alcune riforme importanti come il pacchetto pensioni i cui decreti attuativi dovevano essere vara- ti entro il 1° marzo: l’Ape volontaria, la cui partenza era stata fissata per maggio, probabilmente subirà un rinvio.
Per ora le riforme per rilanciare l’economia varate da Gentiloni, il decreto per la tutela del risparmio (la legge di conversione è entrata in vigore il 22 febbraio) e quello per il Mezzogiorno (legge di conversione in vigore dal 1° marzo), contano in totale 16 decreti attuativi da varare, di cui cinque hanno già superato il termine indicato per il loro via libera.
Nel complesso lo stock previsto per attuare le riforme di stimolo allo sviluppo varate dagli ultimi quattro esecutivi – 8 quelle di Monti, 11 di Letta, 17 di Renzi, 2 di Gentiloni – è di 1.160 atti. Di questi, 897 sono stati adottati, mentre 263 devono essere ancora varati (tra questi, 122 sono scaduti).
A tale carico vanno, però, aggiunte le leggi delega, che negli ultimi anni sono di frequente intervenute su materie di carattere economico o comunque su temi collaterali. Con i loro impatto moltiplicatore. Un “effetto matrioska” che somma ai decreti delegati previsti dalla delega i provvedimenti attuativi a cui il più delle volte rimandano, a loro volta, per diventare pienamente operativi (si veda l’articolo in basso).