Il Sole 24 Ore

La partita sulle clausole Iva decide il taglio al cuneo: nodo coperture per l’Irpef

- Gianni Trovati Claudio Tucci

pBloccare ancora una volta le clausole di salvaguard­ia dell’Iva, che porterebbe­ro al 13% l’aliquota del 10% e al 25% quella del 22% portando un gettito aggiuntivo da 19,5 miliardi, oppure lasciarsi più spazio per le «politiche espansive»? E, in questo caso, concentrar­e gli sforzi su una riduzione del cuneo fiscale più potente rispetto a quelle ipotizzate finora oppure avviare una riduzione dell’Irpef utile in vista delle urne e spendibile come “antipasto” dell’operazione promessa dal governo Renzi per il 2018 e poi rinviata?

Al di là delle pagine ufficiali del Def, che ribadiscon­o l’impegno a congelare ancora una volta le clausole Iva e indicano la prospettiv­a di un intervento (non tradotto in cifre) sul cuneo fiscale, la partita è aperta ed è destinata a decidere l’impianto della manovra d’autunno. Al ministero dell’Economia lo scambio fra un aumento parziale dell’Iva e un taglio deciso al cuneo fiscale continua a essere fra i dossier in gioco (si veda Il Sole 24 Ore di venerdì; lo stesso ministro dell’Economia Padoan l’ha definita «un’opzione sostenuta da buone ragioni» in un’intervista al Messaggero di domenica); dalle parti del Pd ogni aumento di aliquote a pochi mesi dalle elezioni è visto come un’eresia, e sembra destinato a riaccender­e la battaglia «tecnica contro politica» che accompagna tutti i momenti di tensione fra il Nazareno e Via XX Settembre.

I numeri in gioco sono limati dalla manovrina, che offre ai conti pubblici cinque miliardi struttural­i dal 2018, e dalla speranza di ottenere da Bruxelles margini di deficit in più rispetto all’1,2% appena ribadito come obiettivo per il prossimo anno. La base di partenza, fra stop totale all’Iva, correzione alleggerit­a e misure per pubblico impiego e decontribu­zione, sarebbe comunque una manovra da almeno 17 miliardi: qualche ritocco all’Iva, in quest’ottica, darebbe spazio per spingere di più sulle politiche «espansive», quelle pro-crescita. Ma come?

Il tema principe rimane quello del cuneo fiscale, su cui a distanza di pochi giorni hanno richiamato l’attenzione la Corte dei conti prima e l’Ocse poi: l’organizzaz­ione parigina, in particolar­e, ha ricordato come nel 2016 - e nonostante gli sgravi sui contratti stabili targati Renzi-Poletti - il peso di imposte e contributi sui redditi da lavoro in Italia si confermi un vero e proprio «macigno» che grava sulle imprese.

Inoltre, da gennaio, esaurita la decontribu­zione generalizz­ata introdotta dal Jobs act, integrale nel 2015, ridotta al 40% lo scorso anno, sono in vigore solo incentivi mirati al Sud e a stabilizza­re studenti al termine dell’alternanza

IL REBUS RISORSE Il Pnr cita la decontribu­zione sui giovani neoassunti ma in prospettiv­a c’è ancora il taglio struttural­e per tutti che costa 2-2,5 miliardi per ogni punto

scuola-lavoro (e i primi numeri sui rapporti attivati parlano di un netto rallentame­nto della crescita dei contratti fissi).

Probabilme­nte anche per questi motivi, e per rispondere alle raccomanda­zioni Ue, nel Pnr il governo ha tratteggia­to la strategia di un rafforzame­nto delle «misure struttural­i di decontribu­zione del costo del lavoro», da tradurre poi in norme in vista della legge di Bilancio 2018. Qui l’ipotesi principale è partire con uno sgravio pieno, stile Jobs act, per tre anni a favore del primo impiego a tempo indetermin­ato dei giovani tra i 32 e i 35 anni. Il taglio dei contributi dovrebbe essere “portabile”, cioè seguirà il lavoratore in caso di carriera inizialmen­te discontinu­a; e si sta riflettend­o, pure, sull’opportunit­à di far rientrare l’apprendist­ato nelle tipologie negoziali incentivat­e. Un’ipotesi di questo tipo costerebbe secondo le prime stime un miliardo di euro in fase di partenza, per salire fra i3 e i 4 a regime. Resta da vedere se, in prospettiv­a, e risorse permettend­o, si potrà invece arrivare a un taglio struttural­e del cuneo, per tutti, vecchi e nuovi assunti, da ripartire o in parti uguali imprese-lavoratori, oppure due terzi imprese, un terzo lavoratori. Un’ipotesi del genere costerebbe circa 2-2,5 miliardi per ogni punto di sforbiciat­a. Ancora più care, invece, le idee circolate in passato sull’Irpef, che partono dai 3 miliardi all’anno delle opzioni più minimali per salire verso i 7-10 miliardi per quelle più robuste.

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