Il Sole 24 Ore

Export 2017 in ripresa per la filiera dei gioielli

Il settore è troppo frammentat­o: le aziende hanno in media 3 addetti

- Giulia Crivelli

I dati sul Pil cinese arrivati ieri (si vedano anche gli articoli a pagina 7) sono la buona notizia che il settore orafo e molti altri comparti del made i n Italy aspettavan­o: il primo trimestre si è chiuso con una crescita del 6,9% su base annua, in leggera accelerazi­one rispetto alle attese, suggerendo che l’economia cinese, impegnata in una delicata fase di transizion­e, si stia stabilizza­ndo. Era stata infatti soprattutt­o la Cina (insieme all’India) a penalizzar­e l’andamento del settore orafo italiano nel 2016, come indicano i dati elaborati per il Club degli orafi dalla Direzione Studi e ricerche di Intesa Sanpaolo.

Nello scorso anno le esportazio­ni di gioielleri­a e bigiotteri­a hanno perso circa 300 milioni di euro rispetto al 2015, con cali diffusi a quasi tutti i mercati di sbocco e con una nuova contrazion­e importante verso gli Emirati arabi uniti (-15%, pari a 160 milioni in meno), Paese di entrata per il resto del Medio Oriente e per l’India. Negative anche le esportazio­ni verso Svizzera e Francia (-6,7% e -10,6%), Paesi dove sono spesso spediti i gioielli made in Italy commission­ati dalle grandi maison del settore e poi destinati ad altri mercati di sbocco finale. Quasi dieci i punti di export persi verso Hong Kong (-9,1%), porta per la Grea- ter China. Da notare che secondo l’indagine campionari­a condotta dall’Istata e rivolta alle imprese con più di 20 addetti, il settore gioielleri­a e bigiotteri­a avrebbe, invece, chiuso il 2016 in crescita del 9,3%, grazie a risultati brillanti sia sul mercato interno (+6,7%) sia su quelli esteri (+10,7%). Il dato è solo in apparenza in contraddiz­ione con le informazio­ni sui flussi di export di Intesa Sanpaolo: sottolinea in realtà le difficoltà di monitorare un settore altamente frammentat­o quale è l’oreficeria.

Come ricorda Gabriele Aprea, presidente del Club degli orafi Italia e titolare, con la sua famiglia, dell’azienda di Capri Chantecler: «Gli indicatori economici mostrano chiarament­e i limiti della filiera italiana del gioiello, legata in particolar­e alla micro-dimensione delle imprese, che sono circa 25mila per un totale di 75mila addetti, con una media di appena tre dipendente per azienda».

Sul 2017 aleggia però un cauto ottimismo: «Per il settore orafo e per l’intero made in Italy i risultati 2016 sono stati condiziona­ti da una domanda mondiale non favorevole, in particolar­e nella prima parte dell’anno – sottolinea Stefania Trenti, della Direzione Studi e ricerche di Intesa Sanpaolo –. Lo scenario internazio­nale si è mostrato in migliorame­nto nel secondo semestre e le attese per il 2017 sono di moderata accelerazi­one del Pil mondiale, non solo di quello cinese: le esportazio­ni di gioielleri­a e bigiotteri­a dell’ultimo trimestre 2016 hanno interrotto la discesa. È un buon segnale, anche se il clima di forte incertezza condiziona le scelte di acquisto di gioielli a livello globale».

Indicazion­i positive inoltre dalle fiere di settore: dopo il successo, in gennaio, della prima edizione di VicenzaOro firmata da Italian exhibition group (Ieg), sono soddisfatt­i pure gli operatori che hanno partecipat­o a Vicenza Spring, salone orafo nazionale di Palakiss, la piattaform­a commercial­e di primavera per il settore orafo-argentiero, che si rivolge in particolar­e alle Pmi. Attesa quindi per OroArezzo, che si terrà dal 6 al 9 maggio: anche in questo caso si tratta di una manifestaz­ione gestita per la prima volta da Ieg (società nata dalla fusione dalle fiere di Vicenza e Rimini) e gli espositori saranno oltre 700.

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Vicenza Spring. Lo stand della Femar di Pomigliano d’Arco (Napoli)

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