La lezione di Manzoni su lobby e corporazioni rimane ancora attuale
Gentile Fabi, in questo Paese mi sembra che tutto si sia fermato. Non si contano i provvedimenti bloccati tra Camera e Senato mentre il Paese avrebbe bisogno di nuove leggi per affrontare i grandi problemi politici e sociali che si presentano giorno per giorno. Non voglio entrare nel merito dei singoli problemi, ma mi chiedo e le chiedo se l’Italia può essere considerato un Paese fondamentalmente conservatore in cui le riforme sono difficili, se non impossibili. E mi sembra che negli ultimi decenni siano aumentati il peso e l’influenza di lobby e corporazioni.
Giovanni Guerra
Caro Guerra, non credo che l’Italia abbia bisogno di tante nuove leggi. Ne basterebbero poche, ma decisive: per lo sviluppo della democrazia sul fronte
politico e per la difesa del mercato sul fronte dell’economia. Sul primo punto mi sembra essenziale in buona legge elettorale, una legge che riesca ad ottenere quel difficile equilibrio tra rappresentanza e governabilità. Sul secondo fronte una positiva legge sulla concorrenza può essere utile anche se quella attualmente in discussione presenta molti aspetti critici, come può approfondire leggendo in questi giorni il contrastato cammino sul Sole 24 Ore.
Al di là dei temi strettamente di cronaca resta il fatto che l’Italia non è tanto un Paese conservatore in termini assoluti, ma è un Paese caratterizzato da una struttura sociale in cui prevalgono quelli che definirei i privilegi diffusi. Non è un ossimoro: è vero che il privilegio indica un «vantaggio particolare di cui gode una persona rispetto agli altri», ma ci possono essere e ci sono tanti vantaggi diversi e quindi tante realtà in qualche modo privilegiate o maggiormente garantite di altre. Realtà quindi interessate a non mettere in discussione equilibri e posizioni di piccolo potere.
Non è una dimensione nuova. Basta leggere il primo capitolo dei “Promessi sposi” dove Alessandro Manzoni si sofferma a tratteggiare la figura di don Abbondio e il suo essere parroco nei primi anni del XVII secolo: «Era, in que’ tempi, portata al massimo punto la tendenza degl’individui a tenersi collegati in classi, a formarne delle nuove, e a procurare ognuno la maggior potenza di quella a cui apparteneva. Il clero vegliava a sostenere e ad estendere le sue immunità, la nobiltà i suoi privilegi, il militare le sue esenzioni. I mercanti, gli artigiani erano arrolati in maestranze e in confraternite, i giurisperiti formavano una lega, i medici stessi una corporazione. Ognuna di queste piccole oligarchie aveva una sua forza speciale e propria; in ognuna l’individuo trovava il vantaggio d’impiegar per sé, a proporzione della sua autorità e della sua destrezza, le forze riunite di molti. I più onesti si valevan di questo vantaggio a difesa soltanto; gli astuti e i facinorosi ne approfittavano, per condurre a termine ribalderie, alle quali i loro mezzi personali non sarebber bastati, e per assicurarsene l'impunità».
Con sottile ironia il Manzoni parla di «quei tempi» per far intendere che questa analisi era valida anche negli anni in cui scriveva il suo grande romanzo, quindi due secoli dopo. Ma per molti aspetti resta valida anche oggi e dimostra che è forse nel carattere di questo nostro Paese il creare e difendere lobby e corporazioni.