Quel taglio dei costi da 700 milioni per poter rinascere
Il riassetto dopo il capitale
pUn conto è salvarle, un altro è farle rinascere. Se il primo (prioritario) obiettivo per le due banche venete sembra - a meno di imprevedibili colpi di scena dell’ultima ora - ormai a portata di mano, il secondo compito appare in realtà il più gravoso. Messe in sicurezza, con i soldi pubblici, sul capitale la Popolare di Vicenza e Veneto Banca dovranno provare a tornare banche “normali”. E il percorso non è affatto scontato. Sul piano della operatività le due ex popolari venete boccheggiano. E molto. Non solo vantano tuttora livelli di crediti malati doppi rispetto alla media del sistema italiano, ma si trascinano una zavorra di costi tali da renderle fragilissime. Basti pensare che i soli costi operativi si portano via il 95% dei ricavi totali a Vicenza e oltre il 120% a Montebelluna. Banche con queste strutture di costi non vanno molto lontane, pur rimpolpate sul capitale. Se i costi non scenderanno, uniti al fatto che le rettifiche sulle sofferenze e incagli superano il miliardo di perdite per entrambe, facile pensare che anche il 2017 si preannuncia anno di perdite con conseguente erosione del nuovo capitale che verrà immesso. E il conto del taglio dei costi sarà sicuramente pesante. Su questo è meglio non farsi illusioni. Se i ricavi (scesi del 30% nel 2016 a 700 milioni per entrambe) non torneranno a salire, riportare il cost/income delle due banche a livelli vicini al resto del sistema (il 60-70%) vorrà dire tagliare costi (tra personale e costi generali) per svariate centinaia di milioni. Le due banche sommate insieme hanno costi operativi per oltre 1,5 miliardi su ricavi per 1,4. Riportare i costi al 60%, a ricavi immutati, vuol dire tagliare tutti i costi per quasi 700 milioni. Uno sforzo epico. E definire il piano di riassetto, un piano lacrime e sangue non è un eufemismo. Le notizie che circolano parlano di 3000 esuberi (su 10mila dipendenti) e la chiusura di 200 sportelli. Cifre che paiono plausibili alla luce del pesante disequilibrio tra ricavi (in discesa) e costi (che non sono scesi). Certo il piano più che doloroso può venire mitigato dalle cessioni e dai dimagrimenti. È noto che Veneto Banca deconsoliderà la Bim e dovrà metter mano alla fuoriuscita dai mercati dell’Est europa. Così come Vicenza si sta disimpegnando da Cattolica Assicurazioni. E ovviamente il piano di riassetto da 700 milioni non si compirà in un solo esercizio. Resta il fatto che senza riportare il rapporto costi/ricavi a livelli fisiologici non c’è futuro per le due banche. O meglio andrebbe in scena il copione già visto per Mps, le stesse venete e tutte le banche in difficoltà. Si fanno gli aumenti di capitale per poi vederli svanire in poco tempo a seguito delle nuove perdite che nel frattempo maturano. Sacrifici pesanti per i dipendenti e recuperi di efficienza doverosi quindi. La chiusura degli sportelli (inevitabile) racconta di uno dei tanti autogol. Si andranno a perdere definitivamente tutti i costosissimi avviamenti delle campagne di shopping degli anni d’oro. Solo a titolo d’esempio la Vicenza comprò nel 2007 61 sportelli da Ubi Banca pagandoli 8 milioni di euro cadauno per un controvalore di 488 milioni.
Quel goodwill iscritto a bilancio sarà stato svalutato nel tempo. Di sicuro con la chiusura si azzererà completamente.
COSTI FUORI CONTROLLO Le due banche insieme hanno costi per 1,5 miliardi su 1,4 miliardi di ricavi Tagli ingenti per riportare il cost/income al 60%