Pubblico e privato, obiettivi comuni
I meriti e i limiti delle riforme varate in ambito statale negli ultimi decenni Dagli enti privatizzati un percorso per conciliare oneri e sviluppo
Come evidenziato dai rischi strutturali dei sistemi previdenziali maturi, in particolare se a ripartizione, anche oltre confine la parola d’ordine oggi è maggiore equilibrio e ampia sostenibilità della gestione finanziaria. Le promesse previdenziali, nel momento in cui vengono fatte, bisogna cercare di mantenerle e ciò richiede la certezza di un sistema di welfare ben strutturato.
Tanto sul fronte pubblico quanto su quello privato, gli interventi di riforma stanno consentendo – ancorché con tempi diversi – da un lato di frenare l’eccesso di debito accumulato in anni di indulgente gestione delle prestazioni, dall’altro di rimettere in carreggiata schemi pensionistici che si stavano allontanando da scenari di piena sostenibilità.
I limiti del «pubblico»
Seppure in ritardo, la previdenza pubblica ha individuato una strada più equilibrata applicando al sistema continue correzioni di volta in volta più stringenti. La dimostrazione spesso sta nei numerosi scalini o scaloni che riforme di diversa entità hanno generato salvaguardando sempre le generazioni “più mature” rispetto alle altre.
Lo stesso passaggio al metodo contributivo, equilibrato fintanto che i coefficienti di trasformazione del montante in rendita vengono aggiornati con continuità, rende oggi il sistema meno equo di quanto si possa credere. Dipende soprattutto dal fatto che l’equità teorica di un tale sistema deve fare i conti con continui trasferimenti da parte dello Stato a causa di inderogabili diritti acquisiti, che alimentano il gap generazionale già presente sul fronte economico e sociale.
Un sistema quindi, per poter essere sostenibile sotto l’aspetto sociale e previdenziale, deve mostrare di poter essere anche equo nella sua funzione assicurativa, ma anche assistenziale con proiezioni di lungo periodo. Deve tendere a garantire, quindi, gli stessi tassi di sostituzione e di rendimento per storie pensionistiche simili, così come li-
velli minimi di reddito a tutti.
La ricerca dell’equità
Proprio sull’equità si stanno oggi concentrando le Casse di previdenza dei liberi professionisti, che superati gli stress test tradotti in legge dall’allora ministro Elsa Fornero, hanno da tempo iniziato un percorso interno per migliorare l’equilibrio intergenerazionale con misure equitative in grado in qualche modo di compensare parzialmente gli oneri, non solo pensionistici, gravanti sulle giovani generazioni.
Emblematico è il coefficiente di equità intergenerazionale applicato da Cassa Dottori Commercialisti nelle riforme tese ad innalzare le prestazioni dei propri iscritti con la maggiorazione delle aliquote di computo e l’utilizzo di una quota di integrativo a fini previdenziali, per tener conto del peso dei diversi periodi di contribuzione maturati i n quota retributiva o contributiva.
Non si tratta dell’unico esempio, basti pensare ai nuovi coefficienti di trasformazione applicati dalla Cassa degli Ingegneri e Architetti in base alle coorti di appartenenza. Si va più in generale da sgravi contribuitivi nei primi anni di attività dei professionisti a impegni solidaristici a carico dei pensionati o in qualche caso di tutti gli iscritti.
Una missione comune
Nel modello privatistico, parimenti in quello pubblico, quindi, la mission dovrebbe rimanere sempre ancorata a un’offerta previdenziale che, per quanto vincolata ad una ricerca degli equilibri gestionali e ad una seria ed accorta politica di investimenti, non può prescindere dal fornire un contributo forte all’indirizzo di una maggiore equità tra le generazioni. Ciò soprattutto quando coloro che hanno potuto avvantaggiarsi di “rendite di posizione”, come conseguenza di tempi in cui qualcuno ha approfittato per riporre la polvere sotto il tappeto, appaiono oggi davvero poco disposti a fare sacrifici per la tenuta del sistema e, di conseguenza, a creare qualche opportunità in più per le generazioni più giovani.