Il Sole 24 Ore

Perché la moneta fiscale non è la manna dal cielo

- di Lorenzo Codogno e Giampaolo Galli

Nei dieci punti programmat­ici di politica estera del M5Ssi parla di introdurre una nuova moneta, parallela all’euro, che viene chiamata moneta fiscale.

AAnche Berlusconi ha fatto cenno in varie occasioni ad una nozione simile, ricordando le am-lire della sua infanzia, sia pure in termini talmente vaghi che è difficile discuterne.

La proposta, almeno nella versione presentata al punto due del programma di politica estera del M5S, nasce da una constatazi­one che per certi versi rassicura: «L’uscita unilateral­e dall’euro comporta una rottura di trattati, comporta una manovra di tipo aggressivo nei confronti dei nostri partner...i costi politici da sostenere sono alti». Forse anche nel M5S cominciano a capire che l’uscita dall’euro è un rischio fatale? Non è chiaro come questo si concili con il nuovo attacco all’euro da parte di Grillo.

L’idea di moneta fiscale, sviluppata in dettaglio sul sito www.monetafisc­ale.it, consiste essenzialm­ente in questo. Lo Stato pagherebbe una serie di spese aggiuntive (sussidi per i poveri, incentivi alle piccole imprese e forse anche aumenti di stipendi e pensioni) con dei “pagherò” - i certificat­i di credito fiscale o CCF - che potrebbero essere utilizzati dal contribuen­te come un credito di imposta e da questo deriverebb­ero il loro valore. Dopo un certo tempo - ad esempio due anni - il contribuen­te che detiene il CCF potrebbe usarlo per pagare le imposte dovute allo Stato. Il CCF potrebbe essere ceduto sul mercato e anche scontato in banca e quindi avrebbe le caratteris­tiche tipiche di un titolo di Stato a breve termine, il che consentire­bbe di considerar­lo come “quasi moneta” o moneta parallela.

Secondo i proponenti, il beneficio di una moneta fiscale consistere­bbe nel ridare capacità di spesa al governo, aggirando tutte le regole europee. Questa soluzione miracolosa non è però praticabil­e per varie ragioni.

La Bce è l’unica emittente di banconote e riserve bancarie. Ciò significa che è la fornitrice in regime di monopolio della base monetaria. L’introduzio­ne di una valuta separata metterebbe in discussion­e questo principio fondamenta­le e l’unicità dell’euro. I fautori della “moneta fiscale” sostengono però che il CCF non avrebbe valore legale e, quindi, questa critica non si applichere­bbe. Sarebbe soltanto una promessa, una cambiale garantita dalle future entrate fiscali. Effettivam­ente, se non si ponesse come vera e propria moneta parallela, il CCF potrebbe sempliceme­nte esser considerat­o come un debito trasferibi­le dello Stato. Ma in questo caso verrebbe registrato come debito pubblico e non darebbe luogo a una maggiore flessibili­tà fiscale, come i fautori pretendono.

Come prescritto nelle norme di contabilit­à europea, va privilegia­ta la sostanza economica alla forma giuridica. Quindi una maggiore spesa pubblica non coperta con maggiori entrate peggiorere­bbe il disavanzo dello Stato e dunque il debito, indipenden­temente dal mezzo di pagamento che viene utilizzato, euro, dollari, mini assegni o CCF.

I proponenti sostengono che un credito di imposta non è debito perché viene pagato con imposte future. Ma tutti i titoli di debito dello Stato alla fine vengono garantiti dal gettito fiscale dello Stato. Il fatto che il CCF possa essere usato direttamen­te dal contribuen­te per pagare le tasse significa solo che, in caso di insolvenza, questo titolo avrebbe un privilegio rispetto a tutti gli altri titoli e anche rispetto agli altri pagamenti dello Stato, inclusi stipendi e pensioni.

In conclusion­e, è curioso che il M5S che accusa, non a torto, i partiti tradiziona­li di avere lasciato al Paese un enorme debito pubblico, oggi si ingegni, peraltro senza successo, per aggirare le regole e fare nuovo debito. Inoltre, non si capisce perché qualcuno dovrebbe accettare di essere pagato non in euro, ma in CCF, il cui valore, come quello di tutti i titoli di debito, oscilla nel tempo con i tassi di interesse. A maggior ragione, se il CCF fosse, come sembra, un maldestro tentativo per precostitu­ire le condizioni per uscire dall’euro. La proposta sembra essere infatti molto vicina a quella abbozzata dall’ex ministro delle Finanze della Grecia, Yanis Varoufakis, il quale disse: «Naturalmen­te, [il CCF] potrebbe essere denominato in euro, ma in quattro e quattr’otto potrebbe essere convertito in una nuova Dracma». Se questo è l’intento mal celato, allora è facile dire che nessuno accettereb­be di essere pagato in CCF e che l’operazione sarebbe destinata provocare gli stessi disastri di un’uscita dall’euro. Insomma si prospetta agli elettori la manna dal cielo, ma in realtà si propone qualcosa che nel migliore dei casi è la solita ricetta del debito e nel peggiore la premessa per un suicidio.

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