In Egitto la fratellanza del Papa
OGGI E DOMANI AL CAIRO IN UNA MISSIONE CHE INTRECCIA STORIA E CONTEMPORANEITÀ Più di un gesto interreligioso gli incontri con il grande Imam, il papa copto e il patriarca di Costantinopoli
La domanda ha percorso per qualche tempo il mondo dei cattolici più pugnaci: perché il Papa va in Egitto? È il più grande Paese arabo e uno dei maggiori musulmani al mondo attraversato da correnti centrifughe interne ed esterne, la comunità cattolica è una goccia nel mare islamico (lo 0,29%), e i copti, che pure sono oltre 10 milioni, sono cristiani ortodossi, fratelli quindi ma in definitiva separati fuori casa. Perché va nel cuore dell’Islam e non in quello dell’Europa cristiana, per dire? Francesco spera di poter accendere una luce laddove prevale il buio. Tutte queste ragioni rendono il viaggio - che oggi e domani lo vedrà al Cairo - speciale e urgente, un’immersione rapida ma profonda dentro una realtà che intreccia storia e contemporaneità, con uno sfondo che nella tradizione cattolica è profondamente radicato. Nei vangeli sta scritto che un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse di fuggire in Egitto con il piccolo Gesù e Maria per sfuggire a Erode. Lo studiano tutti a scuola, e anche per i non credenti è comunque una traccia dove ritrovare la propria provenienza, un solco della cultura trasversale nei continenti.
Ed è su questa terra che torna un Papa – c’era già stato Giovanni Paolo II nel 2000, un anno speciale – in una fase della storia dove l’estremismo religioso sta alimentando una guerra asimmetrica che dalle montagne siriane e dalle città tribolate del vicino oriente è dilagata dentro le metropoli (ma anche nelle piccole chiese, come a Rouen) dell’Europa, irrompendo di continuo nei telegiornali della fascia di massimo ascolto, ma ormai anche un po’ nello stile di vita. Le stragi dei cristiani copti che si consumano ormai da anni, ultima quella della domenica delle Palme - in passato consumate anche con la connivenza del regime del Cairo – fanno di continuo alzare i toni identitari all’occidente battagliero e ormai anche un po’ trumpiano, in un processo che tenta in ogni modo di accreditare il Papa come difensore di ultima istanza di un Occidente cristiano contro un Oriente islamico. Un processo, questo, dispiegato durante i pontificati precedenti, anche con un certo successo, ma che ora con Bergoglio non sfonda: lui è netto, c’è una guerra mondiale combattuta in nome di interessi di potere ed economici, e il nome di Dio è pronunciato con profanazione. Ma non è una guerra di religione. Su questo punto non molla, a costo di essere accusato di abbandonare i suoi alla mercè delle bande di assassini sui fuoristrada o dei martiri narcotizzati. E allora va dentro Al-Azhar, “la splendida”, la più alta istituzione teologica e di istruzione religiosa dell’islam sunnita, dal grande Imam Shayk Ahmad Al-Tayyeb, che nel 2011 interruppe il dialogo con il Vaticano e che nel 2016 lo ha riattivato. Quello di oggi è più di un gesto interreligioso, è il passaggio da una fase di dialogo più o meno fecondo (ma sempre accademico, alla fine) ad una di fratellanza in nome del dio unico, che abbraccia anche i non credenti. Insieme a parlare di pace ai rappresentanti di tutto il mondo. E accanto a Bergoglio ci saranno poi il Papa copto Tawadros II e il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, insomma i capi di una buona fetta di fedeli cristiani e musulmani, che in queste terre, tra crociate e conquiste, si sono massacrati per secoli.