Atlante verso il 20-25% di Pop. Vicenza e Veneto
Le trattative con Commissione europea e Bce sul piano di salvataggio: allo Stato una quota super iore al 70% Decisivi per il riassetto del capitale i prezzi di cessione degli Npl e la vendita degli asset
«È molto probabile che Atlante a breve non sarà più l’azionista di riferimento di queste banche», ha detto l’avvocato Alessandro De Nicola, rappresentante del fondo Atlante, intervenendo l’altroieri all’assemblea della Banca Popolare di Vicenza. In estate, secondo gli auspici del Tesoro, o al più tardi in autunno, sarà lo Stato ad avere la maggioranza dell’istituto, che - se tutto va bene - sarà fuso con Veneto Banca: la quota in mano pubblica probabilmente supererà il 70%, mentre - secondo quanto confermato da tre diverse fonti a Il Sole 24 Ore - il fondo di Quaestio dovrebbe trovarsi con il 20-25%, lasciando le briciole delle briciole ai piccoli soci, già marginalizzati dagli aumenti di un anno fa.
Per ora si tratta di stime. E «la situazione è molto fluida», conferma una persona vicina al dossier. È uno dei punti, infatti, al centro della trattativa che vede protagoniste le due banche, la Dg Comp della Commissione europea, la Bce e soprattutto i tecnici del Tesoro, i negoziatori per il fronte italiano a cui tocca l’onere di trovare una quadratura che soddisfi sia Francoforte che Bruxelles, a cui - come già emerso chiaramente con la vertenza, in fase più avanzata, di Mps - stanno a cuore aspetti ben diversi, quasi opposti. Rispetto al negoziato su Siena, che dovrebbe concludersi entro le prossime due settimane, le due ex popolari hanno un problema in più: sono due, e il «capital plan» al centro della vertenza prevede una fusione non priva di complessità. «Se non passa l’aggregazione, salta tutto», racconta un altro “negoziatore”: in effetti, solo dalle sinergie - leggi risparmi - rica- vabili dall’integrazione l’aggregato potrà non solo stare in piedi, ma anche avere una qualche prospettiva di mercato. Consentendo allo Stato di uscire in un orizzonte di medio periodo, verosimilmente pari a 3-4 anni.
Tutto dipende, si diceva, dal capital plan. Le banche guidate da Fabrizio Viola e Cristiano Carrus, assistite da Quaestio e da Bcg, hanno formulato alcune proposte sulla razionalizzazione della rete, il rilancio del business, il contenimento dei costi e - soprattutto - la gestione dei 18,7 miliardi di crediti deteriorati lordi; la documentazione è ora al vaglio della Bce e della Commissione europea, e in caso di esito positivo dal negoziato emergerà non solo la conferma dell’aumento di capitale a carico dello Stato e degli obbligazionisti con la conversione dei subordinati, attualmente stimato in 6,4 miliardi di euro, ma anche la ripartizione del capitale a valle dell’intera operazione. La situazione è fluida perché non sono ancora stati concordati con i regulators prezzi e modalità a cui verranno smaltiti gli Npl e a quanto ammonterà la conseguente erosione dei 3,9 miliardi di patrimonio netto di cui dispongono attualmente le banche, da cui verranno scalate le svalutazioni sui crediti deteriorati. Dei 18,7 miliardi, 9,6 miliardi lordi sono sofferenze, già svalutate del 62,2% a Vicenza e del 59,4% a Montebelluna: pulizia è stata fatta, ma i valori sono ancora più alti di quelli medi praticati dal mercato, dunque l’impatto sul patrimonio sarà sensibile; a maggior ragione nel caso in cui si voglia estromettere dal perimetro anche parte delle inandempienze probabili. In compenso, nel piano è prevista la cessione di alcune partecipazioni, che si aggiungeranno alla vendita del 6% di Cattolica operata il 5 aprile da Vicenza e quella del 25,5% di Consulia annunciata venerdì da Veneto Banca: da vendere resta altro - a partire dalle due quote gemelle del 19,9% in Arca Sgr - e tutti gli introiti evidentemente alleggeriranno l’impatto sul patrimonio delle cartolarizzazioni.
Di certo buona parte dei 2,5 miliardi immessi da Quaestio nei due aumenti di un anno fa verrà cancellata, restano però i 940 milioni anticipati a dicembre, che nei fatti garantiscono una quota minima di almeno il 12-13% per Atlante 1. Atlante 2, invece, si dovrebbe occupare degli Npl, acquistando (o meglio, riacquistando) quote significative delle tranche junior e mezzanine della cartolarizzazione, per un investimento stimato in 6-700 milioni: in cassa al fondo, partito con 2,2 miliardi di cui 500 milioni destinati agli Npl delle good banks, ci sono ancora 1,7 miliardi, e altri 6-700 milioni potrebbero essere utilizzati per un intervento analogo su Mps, così come anticipato da Il Sole 24 Ore sabato scorso; il rimanente, sempre che ci sia, potrebbe andare sui 3 miliardi di Npl in via di cessione da parte di Cassa Cesena, Rimini e San Miniato, destinate a finire al Crédit Agricole. Lo schema, di massima, sarà validato solo quando saranno approdate a un esito definitivo le trattative con Commissione e BcBce.
I DUE FONDI Atlante 1 resterà azionista del nuovo istituto post fusione, Atlante 2 dovrebbe investire 6-700 milioni per riacquistare le tranche junior degli Npl