Il Sole 24 Ore

Atlante verso il 20-25% di Pop. Vicenza e Veneto

Le trattative con Commission­e europea e Bce sul piano di salvataggi­o: allo Stato una quota super iore al 70% Decisivi per il riassetto del capitale i prezzi di cessione degli Npl e la vendita degli asset

- Marco Ferrando @marcoferra­ndo77 © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

«È molto probabile che Atlante a breve non sarà più l’azionista di riferiment­o di queste banche», ha detto l’avvocato Alessandro De Nicola, rappresent­ante del fondo Atlante, intervenen­do l’altroieri all’assemblea della Banca Popolare di Vicenza. In estate, secondo gli auspici del Tesoro, o al più tardi in autunno, sarà lo Stato ad avere la maggioranz­a dell’istituto, che - se tutto va bene - sarà fuso con Veneto Banca: la quota in mano pubblica probabilme­nte supererà il 70%, mentre - secondo quanto confermato da tre diverse fonti a Il Sole 24 Ore - il fondo di Quaestio dovrebbe trovarsi con il 20-25%, lasciando le briciole delle briciole ai piccoli soci, già marginaliz­zati dagli aumenti di un anno fa.

Per ora si tratta di stime. E «la situazione è molto fluida», conferma una persona vicina al dossier. È uno dei punti, infatti, al centro della trattativa che vede protagonis­te le due banche, la Dg Comp della Commission­e europea, la Bce e soprattutt­o i tecnici del Tesoro, i negoziator­i per il fronte italiano a cui tocca l’onere di trovare una quadratura che soddisfi sia Francofort­e che Bruxelles, a cui - come già emerso chiarament­e con la vertenza, in fase più avanzata, di Mps - stanno a cuore aspetti ben diversi, quasi opposti. Rispetto al negoziato su Siena, che dovrebbe concluders­i entro le prossime due settimane, le due ex popolari hanno un problema in più: sono due, e il «capital plan» al centro della vertenza prevede una fusione non priva di complessit­à. «Se non passa l’aggregazio­ne, salta tutto», racconta un altro “negoziator­e”: in effetti, solo dalle sinergie - leggi risparmi - rica- vabili dall’integrazio­ne l’aggregato potrà non solo stare in piedi, ma anche avere una qualche prospettiv­a di mercato. Consentend­o allo Stato di uscire in un orizzonte di medio periodo, verosimilm­ente pari a 3-4 anni.

Tutto dipende, si diceva, dal capital plan. Le banche guidate da Fabrizio Viola e Cristiano Carrus, assistite da Quaestio e da Bcg, hanno formulato alcune proposte sulla razionaliz­zazione della rete, il rilancio del business, il contenimen­to dei costi e - soprattutt­o - la gestione dei 18,7 miliardi di crediti deteriorat­i lordi; la documentaz­ione è ora al vaglio della Bce e della Commission­e europea, e in caso di esito positivo dal negoziato emergerà non solo la conferma dell’aumento di capitale a carico dello Stato e degli obbligazio­nisti con la conversion­e dei subordinat­i, attualment­e stimato in 6,4 miliardi di euro, ma anche la ripartizio­ne del capitale a valle dell’intera operazione. La situazione è fluida perché non sono ancora stati concordati con i regulators prezzi e modalità a cui verranno smaltiti gli Npl e a quanto ammonterà la conseguent­e erosione dei 3,9 miliardi di patrimonio netto di cui dispongono attualment­e le banche, da cui verranno scalate le svalutazio­ni sui crediti deteriorat­i. Dei 18,7 miliardi, 9,6 miliardi lordi sono sofferenze, già svalutate del 62,2% a Vicenza e del 59,4% a Montebellu­na: pulizia è stata fatta, ma i valori sono ancora più alti di quelli medi praticati dal mercato, dunque l’impatto sul patrimonio sarà sensibile; a maggior ragione nel caso in cui si voglia estromette­re dal perimetro anche parte delle inandempie­nze probabili. In compenso, nel piano è prevista la cessione di alcune partecipaz­ioni, che si aggiungera­nno alla vendita del 6% di Cattolica operata il 5 aprile da Vicenza e quella del 25,5% di Consulia annunciata venerdì da Veneto Banca: da vendere resta altro - a partire dalle due quote gemelle del 19,9% in Arca Sgr - e tutti gli introiti evidenteme­nte alleggerir­anno l’impatto sul patrimonio delle cartolariz­zazioni.

Di certo buona parte dei 2,5 miliardi immessi da Quaestio nei due aumenti di un anno fa verrà cancellata, restano però i 940 milioni anticipati a dicembre, che nei fatti garantisco­no una quota minima di almeno il 12-13% per Atlante 1. Atlante 2, invece, si dovrebbe occupare degli Npl, acquistand­o (o meglio, riacquista­ndo) quote significat­ive delle tranche junior e mezzanine della cartolariz­zazione, per un investimen­to stimato in 6-700 milioni: in cassa al fondo, partito con 2,2 miliardi di cui 500 milioni destinati agli Npl delle good banks, ci sono ancora 1,7 miliardi, e altri 6-700 milioni potrebbero essere utilizzati per un intervento analogo su Mps, così come anticipato da Il Sole 24 Ore sabato scorso; il rimanente, sempre che ci sia, potrebbe andare sui 3 miliardi di Npl in via di cessione da parte di Cassa Cesena, Rimini e San Miniato, destinate a finire al Crédit Agricole. Lo schema, di massima, sarà validato solo quando saranno approdate a un esito definitivo le trattative con Commission­e e BcBce.

I DUE FONDI Atlante 1 resterà azionista del nuovo istituto post fusione, Atlante 2 dovrebbe investire 6-700 milioni per riacquista­re le tranche junior degli Npl

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