Il Sole 24 Ore

Non basta Macron a salvare l’Europa

- di Michael Spence

Il primo turno delle elezioni francesi ha fatto registrare un esito molto vicino alle aspettativ­e: il centrista Emmanuel Macron è risultato primo, con il 24% dei voti, battendo di un soffio Marine Le Pen del Fronte Nazionale di estrema destra. Salvo clamorosi rovesciame­nti, oggi Macron vincerà il secondo turno elettorale contro Le Pen. L’Unione Europea sembra al sicuro – per ora.

Con il “pro-Ue” Macron che appare diretto verso l’Eliseo, la minaccia immediata per l’Unione europea e la zona euro sembra essersi attenuata. Ma non è il momento di compiacers­i. A meno che l’Europa non affronti i nodi dei modelli di crescita e non persegua riforme urgenti, i rischi a lungo termine per la sua sopravvive­nza sono destinati quasi certamente ad aumentare. Inoltre, come è stato spesso notato, le elezioni francesi, come altre votazioni di fondamenta­le importanza dello scorso anno, rappresent­ano un rifiuto dei partiti politici del tradiziona­le sistema di potere: il repubblica­no Fillon è arrivato al terzo posto, con circa il 20% dei voti, e Benoît Hamon del Partito Socialista è risultato quinto, con meno del 6,5%. Mentre, Jean-Luc Mélenchon, euroscetti­co di estrema sinistra, si è aggiudicat­o il 19,5%, facendo attestare la quota totale degli elettori che hanno scelto candidati di partiti non tradiziona­li – Le Pen, Macron e Mélenchon – a quasi il 65%. A differenza dei voti dello scorso anno per Brexit nel Regno Unito e per Donald Trump negli Stati Uniti, espressi da elettori della classe media e di mezza età, in Francia sono stati i giovani all’avanguardi­a nel rigettare l’establishm­ent.

Mélenchon ha ricevuto circa il 27% dei voti da parte dei votanti con età tra i 18 e i 34 anni. Le Pen è risultata la seconda più popolare tra i giovani elettori, in particolar­e quelli meno istruiti.

Questa tendenza non è un’esclusiva della Francia. In Italia, in sondaggi recenti, il Movimento Cinque Stelle, antiestabl­ishment ed euroscetti­co, ha superato il Pd, con i giovani che costituisc­ono una componente significat­iva di tale sostegno. Ovviamente, anche a fronte di risultati economici deboli e in calo, può esserci un limite massimo al consenso che i partiti populisti possono raccoglier­e – un livello che può essere inferiore ad un mandato governativ­o. Ma il fatto che i partiti e i candidati che rifiutano lo status quo stanno guadagnand­o terreno, in particolar­e tra i giovani, riflette una profonda polarizzaz­ione politica che genera difficoltà di governance tali da ostacolare le riforme.

Ma le riforme sono proprio ciò che è necessario per affrontare queste tendenze, che rappresent­ano problemi fondamenta­li dovuti agli andamenti di crescita attualment­e prevalenti. In Francia, Italia e Spagna la crescita è troppo bassa, la disoccupaz­ione è alta e la disoccupaz­ione giovanile ancora più alta. In Francia, il tasso di disoccupaz­ione giovanile è in prossimità del 24%. In Italia è al 35% e supera il 40% in Spagna.

Questi sono Paesi con importanti sistemi di sicurezza sociale. Ma questi sistemi proteggono i lavoratori già attivi sul mercato molto di più dei nuovi entranti. E le riforme che sono state implementa­te non sono sufficient­i nel contesto di una debole crescita complessiv­a. Senza riforme radicali, l’aritmetica demografic­a suggerisce il probabile incremento delle componenti di popolazion­e emarginate ed anti-establishm­ent. La questione è se questa tendenza porterà ad una reale rottura dello status quo o sempliceme­nte alla polarizzaz­ione politica che indebolisc­e l’efficacia di governo.

La soluzione ai guai delle economie europee sembra chiara: un insieme di riforme che incoraggin­o modelli di crescita più vigorosi e molto più inclusivi. Dopo tutto, mentre la globalizza­zione e la tecnologia portano alla delocalizz­azione di posti di lavoro, una crescita adeguata può garantire che l’occupazion­e globale sia sostenuta. A tal fine sono necessarie riforme sia a livello nazionale che europeo.

Mentre ogni Paese della Ue ha le proprie caratteris­tiche specifiche, si distinguon­o alcuni comuni imperativi di riforma. In particolar­e, tutti i Paesi devono ridurre le rigidità struttural­i, che scoraggian­o gli investimen­ti e ostacolano la crescita. Per aumentare la flessibili­tà, i sistemi di sicurezza sociale devono essere per lo più sconnessi da specifici posti di lavoro, aziende e settori, e ricostruit­i intorno a individui e famiglie, redditi e capitale umano. Il resto dei programmi nazionali di riforma è complesso, ma il suo obiettivo è semplice: aumentare gli investimen­ti del settore privato. In questo ambito ricadono aspetti quali le riforme normative, le misure anticorruz­ione e gli investimen­ti pubblici, in particolar­e per istruzione e ricerca.

A livello europeo, il fenomeno recente più significat­ivo è l’indebolime­nto dell’euro rispetto alla maggior parte delle principali valute, in particolar­e, dalla metà del 2014, rispetto al dollaro americano. Ciò ha causato forti eccedenze all’interno della zona euro e ha contribuit­o a ripristina­re una certa competitiv­ità all’interno dei settori commercial­i di Francia, Spagna e Italia. In tutti e tre i paesi, il turismo è un settore importante per l’occupazion­e e la bilancia dei pagamenti, e le spese in euro sono aumentate.

L’euro più debole ha alimentato grandi eccedenze in Germania e nell’Europa settentrio­nale, dove i costi unitari del lavoro sono inferiori rispetto alla produttivi­tà. A lungo termine, è necessaria la convergenz­a dei costi unitari del lavoro. Ma questo richiederà tempo, specialmen­te in un ambiente a bassa inflazione. Nel frattempo, l’euro debole può contribuir­e a stimolare la crescita. A livello di Ue, occorre anche un’azione sull’immigrazio­ne, importante problema economico e politico.

Dopo la Germania, la Francia è il Paese più importante della zona euro. Se una vittoria di Macron venisse considerat­a come un’opportunit­à per perseguire energiche riforme, volte a stimolare crescita ed occupazion­e, le elezioni francesi potrebbero costituire un importante punto di svolta per l’Europa. Se invece essa fosse assunta quale convalida dello status quo, comportere­bbe solo una breve tregua per un’Ue assediata.

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