Renzi riparte da lavoro-welfare, semplificazione fiscale e Ue
Oggi l’assemblea del dopo primarie: «Vicini al Paese e ai problemi della gente, lontani dalla politica politicante. Stop alle polemiche interne» «Sulla legge elettorale il Pd le proposte le ha fatte e sono state respinte, ora tocca agli altri»
Lavoro, lavoro, lavoro. Casa. Maternità. E semplificazione fiscale: tre aliquote Irpef e un sistema di sgravi che premi il secondo lavoro familiare, generalmente femminile. Matteo Renzi si appresta a prendere formalmente in mano il partito, con l’investitura da parte della prima assemblea eletta con le primarie del 30 aprile, con una convinzione saldissima: più «il Pd fa il Pd» e parla alla gente dei problemi concreti stando alla larga dalla «politica politicante» più sale il consenso. La soddisfazione per i sondaggi post primarie (ultimo quello di Nando Pagnoncelli, Ipsos, pubblicato ieri dal Corriere della sera) che vedono il ritorno del Pd al posto di primo partito d’Italia è tanta. «È bastato smettere di litigare con D’Alema ed ecco i risultati», commenta Renzi mentre scrive il discorso che pronuncerà oggi davanti ai mille delegati neoeletti. «La sfida è tra noi e il M5S, l’alternativa al populismo è il popolo».
Concetto ribadito non a caso dal deputato dem Michele Anzaldi, portavoce della mozione Renzi-Martina nella campagna congressuale che si chiuderà formalmente oggi: «Passate le pesanti polemiche dovute alla scissione e gli attacchi sul caso Consip, la campagna per le primarie è stata un vero e proprio toccasana: discussione sui contenuti, toni bassi ma concreti. Una lezione che dovrebbe tenere ben chiara chi pensa di ricominciare con attacchi quotidiani e con la stagione dei veleni». Minoranza di Andrea Orlando e Michele Emiliano avvertita,insomma. Tanto più che i numeri della vittoria alle primarie non lasciano dubbi sugli equilibri interni al Pd: nell’assemblea, il cosiddetto “parlamentino”, Renzi avrà 700 delegati, Orlando 212 ed Emiliano 88; mentre nella direzione (l’organo esecutivo) 84 dei 140 membri saranno renziani, 24 di Orlando, 12 di Emiliano e 20 scelti da segretario.
Un discorso, quello odierno di Renzi, che conterrà molte proposte per il governo del Paese e indicherà la necessità di rafforzare il partito sui territori («dobbiamo spalancare 6mila circoli sul web e tra la gente») e che invece conterrà molto poco di quello che il mondo politico si aspetta: legge elettorale, alleanze, trattative a destra e a sinistra... La scelta del popolo delle primarie è stata chiaramente in sostegno alla vocazione maggioritaria del Pd, e Renzi non ha cambiato idea sulla necessità di proseguire su questa strada senza impelagarsi in alleanze vecchio stampo. Quanto alla legge elettorale, «il Pd le sue proposte le ha fatte, dall’Italicum al Mattarellum, e sono state respinte dagli altri partiti. Ora tocca a loro indicare una disponibilità». Insomma il rieletto segretario dem non ci sta a farsi intrappolare in trattative infinite sulle soglie e sul premio di maggioranza. La “sua” gente non capirebbe. La sfida resta quella di parlare al Paese. Questo non significa che in Parlamento il Pd non stia facendo il suo lavoro: la trattativa a Montecitorio su un modello tedesco con Fi o la trattativa sulla strada dell’estensione al Senato dell’Italicum rimasto alla Camera con il M5S è portata avanti con serietà. Ma Renzi la guarda da lontano, ecco, con un certo scetticismo di fondo sulla reale possibilità di riuscita in un Parlamento così sfilacciato. L’unico paletto è quello di andare verso un modello il più possibile maggioritario.
L’insiediamento di Renzi alla guida del Pd avviene nel giorno in cui in Francia si decide il destino dell’Europa con il ballottaggio tra Emmanuel Macron e Marine Le Pen. E il tema dell’Europa resta centrale nella visione e nel progetto politico di Renzi, che non a caso ha chiuso il 28 aprile la sua campagna per le primarie a Bruxelles: più Europa, ma non questa Europa. Maggiore integrazione politica (Renzi propone, come Macron, l’elezione diretta del presidente della Commissione) e maggiore condivisione del rischio economico fra i Paesi dell’Eurozona (bilancio e capacità fiscale in comune, eurobond, ministro dell’Economia comune). Ma l’Europa deve cambiare passo superando la stagione dell’austerity per puntare su crescita e investimenti.
Ma prima che la riforma della governance europea vada in porto c’è la manovra d’autunno che aspetta al varco il nostro Paese con almeno 15 miliardi da reperire (al netto della manovrina) solo per disinnescare l’aumento del’Iva. Da qui la tentazione di molti renziani del voto anticipato, a questo punto ad ottobre. Ma Renzi frena su questo punto: «Il Pd sostiene il governo fino alle elezioni, e quando si andrà alle urne noi saremo pronti, come dimostrano i sondaggi». Nessun termine di scadenza al governo di Paolo Gentiloni, ma nemmeno l’assicurazione che il Pd sosterrà il governo fino alla primavera del 2018. Semplicemente perché la data delle prossime elezioni non è nella disponibilità del segretario del Pd. Che alla prossima legge di bilancio ci pensa eccome, al di là dei retroscena sulle elezioni anticipate: è necessario condurre con Bruxelles una trattativa difficile e serrata - è il pensiero di Renzi - e già con la possibile revisione dell’«output gap», ossia la differenza tra il Pil effettivo e il Pil potenziale, si possono “guadagnare” almeno 6 miliardi di euro.
I RAPPORTI CON L’ESECUTIVO «Sostegno al governo fino al voto, noi siamo pronti. Trattativa serrata con Bruxelles per la manovra, dalla revisione dell’output gap 6 miliardi»