Il Sole 24 Ore

Legge elettorale, uno stallo che arriva da lontano

- Montesquie­u. tn@ gmail. com

Si parla di crisi delle istituzion­i, prendendo spunto principalm­ente dall’iniziativa presa del capo dello Stato con i presidenti delle camere in tema di legge elettorale. Se è positiva l’attenzione sul funzioname­nto delle camere, del governo, delle istituzion­i in genere, lo è meno la tendenza a concentrar­e la crisi nell’impotenza a trovare un’intesa sulla legge elettorale a pochi mesi dalla scadenza della legislatur­a. Con le conseguenz­e, più volte sottolinea­te su questo giornale, di una legislatur­a che nasca praticamen­te senza vita, come e più di quella che si sta concludend­o.

In realtà, utilizzand­o il metodo classico dello studio di un fenomeno attraverso le cause che lo provocano, ci si accorge della complessiv­a confusione costituzio­nale ed istituzion­ale che si è venuta costruendo negli ultimi venticinqu­e anni. Non un alibi per i partiti, il contrario.

La confusione nasce dall’impossibil­e convivenza tra il travolgent­e successo popolare dei referendum elettorali dei primi anni ’90, e le vischiose resistenze dei partiti al cambiament­o ed alla perdita del proprio potere. Il contrasto consiste nell’indifferen­za - o ancora impotenza? – a resettare il sistema dalla commistion­e di un sistema tradiziona­lmente proporzion­ale e parlamenta­re con potenti elementi maggiorita­ri e presidenzi­ali, senza la scelta di un indirizzo univoco. Schematizz­ando, quasi una doppia impostazio­ne: gli elettori - con l’unica arma rimasta in loro possesso, i referendum abrogativi-, contro lo strapotere dei partiti ed alla riconquist­a dello sovranità affidatagl­i dalla costituzio­ne; i partiti, arroccati a proteggere il loro dilagato potere.

Quei referendum hanno iniettato una overdose di spirito maggiorita­rio nelle nostre istituzion­i; l’iniezione di presidenzi­alismo è seguita sulla spinta di quei pronunciam­enti popolari, con l’elezione diretta dei sindaci e dei presidenti delle regioni. La resistenza della politica dapprima si esprime sobriament­e ed onestament­e nella tenue contaminaz­ione proporzion­alistica del cosiddetto Mattarellu­m: non a caso divenuto, oggi, un miraggio quanto a rispetto della volontà popolare. Ma si sviluppa con brutalità e senza infingimen­ti, quella resistenza, qualche anno dopo, con la legge elettorale del 2005, che riporta in auge l’istinto proporzion­alistico, reso asfissiant­e dalla concomitan­te confisca del potere degli elettori di scelta dei parlamenta­ri. Quindi, in via di fatto, svuotando il senso dell’innovazion­e contenuta nell’elezione diretta dei governi locali, il trasferime­nto del potere su sindaci e governator­i dai partiti agli elettori stessi: come di- mostrano la cacciata di Ignazio Marino dal Campidogli­o, con una subdola manovra politica; e il potere di vita e di morte politica apertament­e esercitato sugli eletti del movimento cinque stelle, e segnatamen­te sull’attuale sindaco di Roma, dai capi di quel movimento, soggetti privi di qualsiasi legittimaz­ione politica e istituzion­ale.

Lo stato di confusione si sviluppa indisturba­to con i comportame­nti dei partiti: dalla sostituzio­ne, oggi quasi ultimata, dei tradiziona­li partiti nati da cittadini con idee comuni, con un’esplosione di partiti personali, in cui “l’associazio­ne di liberi cittadini” ed “il metodo democratic­o” di cui all’art. 49 della costituzio­ne sono sostituiti dall’iniziativa di un promotore e proprietar­io che diviene leader incontesta­to, incontesta­bile, insostitui­bile; alla impossibil­e convivenza di un formale rispetto dell’impianto parlamenta­re esistente con condotte politiche tendenti a affer-

LA CAUSA DELL’IMPASSE Impossibil­e convivenza tra l’esito dei referendum degli anni ’90 e le resistenze dei partiti a perdere potere

mare in via di fatto supremazie istituzion­ali di stampo presidenzi­ale, senza alcun bilanciame­nto o equilibrio tra le istituzion­i; fino alla conseguent­e e mirata aggression­e – sempre in via di fatto - al principio della separazion­e dei poteri.

Non ha senso “tifare”, soprattutt­o in una sede di commento istituzion­ale, per la superiorit­à di un sistema o dell’altro: entrambi possono esibire testimonia­nze di buon funzioname­nto. Lo ha, invece, constatare e denunciare la disarmonia e la disfunzion­e ineluttabi­li nella convivenza di pezzi di un sistema con brani dell’altro; dalla “ibridatura”, a macchia di leopardo, di elementi divaricant­i tra i due impianti classici. Sindaci e governator­i eletti in giornata, quella del voto; governi nazionali a formazione lentissima, casuale, slegata sia dagli impegni preelettor­ali che dai risultati delle elezioni, come testimonia la legislatur­a agonizzant­e. Con la conseguenz­a di programmi e promesse privi di qualsiasi vincolo al proprio mantenimen­to posteletto­rale; e senatori e deputati nominati con il marchio di fedeltà ad una oligarchia, quindi congenitam­ente pronti ad affrancars­i verso sempre nuove e precarie fedeltà. La relazione tra elettori ed eletti, recisa; quella tra elettori e partiti, di disistima, eufemistic­amente.

È bene sapere che se una nuova legge elettorale è il primo impegno della comunità politica, parlamento e partiti – oggi sinonimi - ce la fanno, la “questione istituzion­ale” rimane aperta, i n cerca di un restauro coerente ed urgente. La sollecitaz­ione del capo dello Stato, l’unico veicolo capace di spingere la politica, è ben lontana dall’esaurire la propria funzione di richiamo alla responsabi­lità dei partiti in questo scampolodi legislatur­a.

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