Legge elettorale, uno stallo che arriva da lontano
Si parla di crisi delle istituzioni, prendendo spunto principalmente dall’iniziativa presa del capo dello Stato con i presidenti delle camere in tema di legge elettorale. Se è positiva l’attenzione sul funzionamento delle camere, del governo, delle istituzioni in genere, lo è meno la tendenza a concentrare la crisi nell’impotenza a trovare un’intesa sulla legge elettorale a pochi mesi dalla scadenza della legislatura. Con le conseguenze, più volte sottolineate su questo giornale, di una legislatura che nasca praticamente senza vita, come e più di quella che si sta concludendo.
In realtà, utilizzando il metodo classico dello studio di un fenomeno attraverso le cause che lo provocano, ci si accorge della complessiva confusione costituzionale ed istituzionale che si è venuta costruendo negli ultimi venticinque anni. Non un alibi per i partiti, il contrario.
La confusione nasce dall’impossibile convivenza tra il travolgente successo popolare dei referendum elettorali dei primi anni ’90, e le vischiose resistenze dei partiti al cambiamento ed alla perdita del proprio potere. Il contrasto consiste nell’indifferenza - o ancora impotenza? – a resettare il sistema dalla commistione di un sistema tradizionalmente proporzionale e parlamentare con potenti elementi maggioritari e presidenziali, senza la scelta di un indirizzo univoco. Schematizzando, quasi una doppia impostazione: gli elettori - con l’unica arma rimasta in loro possesso, i referendum abrogativi-, contro lo strapotere dei partiti ed alla riconquista dello sovranità affidatagli dalla costituzione; i partiti, arroccati a proteggere il loro dilagato potere.
Quei referendum hanno iniettato una overdose di spirito maggioritario nelle nostre istituzioni; l’iniezione di presidenzialismo è seguita sulla spinta di quei pronunciamenti popolari, con l’elezione diretta dei sindaci e dei presidenti delle regioni. La resistenza della politica dapprima si esprime sobriamente ed onestamente nella tenue contaminazione proporzionalistica del cosiddetto Mattarellum: non a caso divenuto, oggi, un miraggio quanto a rispetto della volontà popolare. Ma si sviluppa con brutalità e senza infingimenti, quella resistenza, qualche anno dopo, con la legge elettorale del 2005, che riporta in auge l’istinto proporzionalistico, reso asfissiante dalla concomitante confisca del potere degli elettori di scelta dei parlamentari. Quindi, in via di fatto, svuotando il senso dell’innovazione contenuta nell’elezione diretta dei governi locali, il trasferimento del potere su sindaci e governatori dai partiti agli elettori stessi: come di- mostrano la cacciata di Ignazio Marino dal Campidoglio, con una subdola manovra politica; e il potere di vita e di morte politica apertamente esercitato sugli eletti del movimento cinque stelle, e segnatamente sull’attuale sindaco di Roma, dai capi di quel movimento, soggetti privi di qualsiasi legittimazione politica e istituzionale.
Lo stato di confusione si sviluppa indisturbato con i comportamenti dei partiti: dalla sostituzione, oggi quasi ultimata, dei tradizionali partiti nati da cittadini con idee comuni, con un’esplosione di partiti personali, in cui “l’associazione di liberi cittadini” ed “il metodo democratico” di cui all’art. 49 della costituzione sono sostituiti dall’iniziativa di un promotore e proprietario che diviene leader incontestato, incontestabile, insostituibile; alla impossibile convivenza di un formale rispetto dell’impianto parlamentare esistente con condotte politiche tendenti a affer-
LA CAUSA DELL’IMPASSE Impossibile convivenza tra l’esito dei referendum degli anni ’90 e le resistenze dei partiti a perdere potere
mare in via di fatto supremazie istituzionali di stampo presidenziale, senza alcun bilanciamento o equilibrio tra le istituzioni; fino alla conseguente e mirata aggressione – sempre in via di fatto - al principio della separazione dei poteri.
Non ha senso “tifare”, soprattutto in una sede di commento istituzionale, per la superiorità di un sistema o dell’altro: entrambi possono esibire testimonianze di buon funzionamento. Lo ha, invece, constatare e denunciare la disarmonia e la disfunzione ineluttabili nella convivenza di pezzi di un sistema con brani dell’altro; dalla “ibridatura”, a macchia di leopardo, di elementi divaricanti tra i due impianti classici. Sindaci e governatori eletti in giornata, quella del voto; governi nazionali a formazione lentissima, casuale, slegata sia dagli impegni preelettorali che dai risultati delle elezioni, come testimonia la legislatura agonizzante. Con la conseguenza di programmi e promesse privi di qualsiasi vincolo al proprio mantenimento postelettorale; e senatori e deputati nominati con il marchio di fedeltà ad una oligarchia, quindi congenitamente pronti ad affrancarsi verso sempre nuove e precarie fedeltà. La relazione tra elettori ed eletti, recisa; quella tra elettori e partiti, di disistima, eufemisticamente.
È bene sapere che se una nuova legge elettorale è il primo impegno della comunità politica, parlamento e partiti – oggi sinonimi - ce la fanno, la “questione istituzionale” rimane aperta, i n cerca di un restauro coerente ed urgente. La sollecitazione del capo dello Stato, l’unico veicolo capace di spingere la politica, è ben lontana dall’esaurire la propria funzione di richiamo alla responsabilità dei partiti in questo scampolodi legislatura.