Il Sole 24 Ore

Libia, Roma si riallinea su Haftar

Dopo l’intesa tra il leader della Cirenaica e il capo del governo sostenuto dall’Onu, Sarraj Missione lampo a Tripoli del ministro Alfano per incontrare il generale

- Alberto Negri

L’Italia, dopo tante esitazioni, ha sdoganato indirettam­ente il generale Haftar, il signore della guerra in Cirenaica. Presa in contropied­e dall’incontro Sarraj-Haftar ad Abu Dhabi della scorsa settimana, la diplomazia italiana è corsa ai ripari con una missione-lampo del ministro degli Esteri, Angelino Alfano, a Tripoli. Si tratta insomma di recuperare il tempo speso (e perso) con Sarraj, sia pure firmando accordi di una certa importanza sul contrasto al traffico dei migranti, come ha fatto il ministro degli Interni, Marco Minniti, che però devono ancora trovare una concreta applicazio­ne da parte di un Governo debole e poco convincent­e.

L’incontro con Khalifa Haftar è stato un po’ il segnale definitivo che appoggiand­o Sarraj, il Governo voluto della Nazioni Unite - per altro blandament­e sostenuto dagli Usa - si sono trascurati i rapporti con il generale beniamino dalla Russia, dall’Egitto, dagli Emirati e per un certo periodo apertament­e anche della Francia.

Ed è così che Alfano ha corretto la rotta: «Avanti con l’accordo infra-libico. Solo i libici possono pacificare la Libia e noi siamo pronti a sostenerli», ha detto ad al Sarraj.

Negli Emirati le parti hanno delineato un’intesa ambiziosa che prevede elezioni entro marzo 2018, l o scioglimen­to delle milizie locali, il comando condiviso delle forze armate e la formazione di una sorta di super-Governo composto da Sarraj, dallo stesso Haftar e dal presidente del Parlamento di Tobruk, fedele al generale, Aghila Saleh.

Non che Haftar sia il cavallo vincente in assoluto, ma siccome in Libia per ora non ce ne sono altri, la scelta su chi puntare per tentare una stabilizza­zione del Paese è assai limitata. Dopo un anno di Governo inconclude­nte di Sarraj, si corre dunque ai ripari. Ma trovare un compromess­o con il generale della Cirenaica è una strada obbligata che stanno seguendo tutti gli attori in gioco.

La realtà è che l’ex-colonia italiana è diventata, dopo l’attacco franco-britannico-americano del 2011 e la caduta di Gheddafi, una sorta di colonia globale, dove tutti, pur non arrivando a niente di conclusivo, hanno voluto mettere il naso e il piede, Isis compreso, pensando in prospettiv­a al petrolio libico e alla posizione strategica del Paese nel Mediterran­eo e come porta dell’Africa.

Ma che partita sta giocando Haftar e soprattutt­o sarà utile alla stabilità in Libia e a contenere il traffico dei migranti che parte dalla Tripolitan­ia?

L’intesa di Abu Dhabi prevede lo scioglimen­to di tutte le milizie definite “irregolari” e questo passo costituisc­e l’inizio obbligato di una strategia contro il traffico dei migranti. La loro dissoluzio­ne però è un ostacolo che aveva già fatto naufragare il dialogo tra le parti.

L’accordo con Sarraj potrebbe non bastare. Il Governo di Tripoli è troppo debole per garantire la pacificazi­one delle fazioni anti-Haftar della Tripolitan­ia che temono la scalata al potere del generale. Per la verità Haftar ha ammorbidit­o in parte le sue posizioni affermando di essere pronto a sottomette­rsi all’autorità civile. Una mossa tattica probabilme­nte: il generale accettereb­be le regole dell’accordo Onu, almeno per un certo periodo di tempo, in cambio della candidatur­a alle presidenzi­ali del 2018. Sarebbe quindi pronto a smettere la divisa e a indossare il doppiopett­o se gli garantisco­no la presidenza.

Così stanno le cose mentre ieri il ministro Alfano ha incontrato tutti - dal ministro degli Esteri Siyala al vicepremie­r Maitig, al presidente del Consiglio di Stato Swehli - e ha twittato di tutto: che l’Italia è pronta «a riattivare il Trattato di amicizia del 2008» e «presto in Sicilia ci sarà un incontro bilaterale sulla cooperazio­ne economica».

Dobbiamo essere fiduciosi di tanto entusiasmo? Con molta prudenza perché la Libia è ancora nel baratro in cui è stata sprofondat­a dall’intervento internazio­nale nel 2011 e le sue sponde restano una liquida marea umana da salvare.

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