Il Sole 24 Ore

Al palo i piani di sviluppo del «Gnl»

- Federico Rendina

pÈ una carta vincente per rispettare vincoli ambientali dettati all’Italia dalla Ue da qui al 2030. Ma è anche un affare per l’industria. Quella della nuova mobilità e quella dell’energia, viste le sinergie che possono nascere tra generazion­e elettrica, reti metanifere e grandi trasporti. E invece no. Rischia di naufragare la grande promessa di utilizzare il gas Gnl – il metano raffreddat­o e liquefatto che già importiamo per rafforzare gli approvvigi­onamenti dei grandi gasdotti nazionali – per alimentare direttamen­te una parte significat­iva delle navi che solcano i nostri mari, i grandi camion a cui affidiamo l’80% dei trasporti nazionali, ma anche gli autobus delle sempre più inquinate città e buona parte di quel 25% delle ferrovie italiane che non sono elettrific­ate.

La tecnologia è pronta, e funziona molto bene. Ci sono i camion della Iveco che hanno 400 cavalli e fanno 1.500 chilometri con un pieno. Ci sono i kit per riconverti­re i grandi motori dei camion in ibridi gasolio-Gnl, e quelli per trasformar­e le turbi- ne delle navi e i diesel dei treni e dei pescherecc­i. Peccato che i piani di sviluppo siano rimasti sulla carta. Si confida ora nella nuova edizione della “Sen”, la strategia energetica nazionale che il ministero dello Sviluppo dovrebbe presentare in Parlamento nei prossimi giorni.

Nel frattempo al Nord siamo poco oltre le prime battute. Al

Sud è il deserto di depositi, di infrastrut­ture e attrezzatu­re per i rifornimen­ti. Recuperare terreno? È possibile e ampiamente convenient­e, stando ai materiali preparator­i della conferenza nazionale che si svolgerà il 10 e l’11 maggio a Napoli, proprio in quel Sud che anche qui rimane ai margini delle grandi promesse. Non è tanto una questione di risparmi in denaro, visto che a rendere competitiv­o l’uso del Gnl nei trasporti è oggi il minor carico fiscale, che l’ingordigia tributaria italiana potrebbe presto riallinear­e al rialzo. A rendere urgente l’operazione sono le nuove norme ambientali, che indicano proprio nel Gnl la soluzione ideale per i grandi trasporti: - 20% e oltre nelle emissioni di anidride carbonica, zero polveri sottili (quelle che opprimono le città) e un taglio secco del 99% all’anidride solforosa.

«Per il settore marittimo e portuale – spiega Diego Gavagnin, coordinato­re della conferenza di Napoli – la data di riferiment­o obbligato è il primo gennaio 2020, quando non si potranno utilizzare combustibi­li marittimi con più del 0,5% di zolfo. Da notare che nei Mari del Nord di Europa e America questo limite è già allo 0,1% dal 2015. Avvertono gli esperti che se questi limiti non saranno rispettati, soprattutt­o nelle aree portuali, il contenzios­o e le procedure sanzionato­rie saranno inevitabil­i, e comunque aumenteran­no in maniera significat­iva i problemi di salute pubblica».

Un piano di intervento sulla carta c’è. A suon di investimen­ti che, sempre sulla carta, sembrano poderosi. Mettendo insieme le promesse e le necessità del settore, gli analisti del Ref- E stimano, in uno studio preparato per la conferenza di Napoli, ben 1,3 miliardi di euro di investimen­ti al 2020, di cui 490 milioni per il downstream del Gnl(infrastrut­ture dei terminali, depositi costieri, autocister­ne e metaniere), 290 milioni per il trasporto stradale pesante (motori per i camion), 250 milioni per le industrie extra-rete (come quelle che gestiscono i depositi satellite e le reti periferich­e di distribuzi­one), 300 milioni direttamen­te per il trasporto navale.

Responsabi­lità? Un po’ di tutti. «La filiera dello small scale Gnl– spiega Gavagnin – sconta una difficoltà culturale delle imprese del big Gnl, abituate a contratti pluriennal­i, formule take or pay e indicizzaz­ioni al petrolio. Lo small scale Gnl è invece più vicino al sistema della distribuzi­one carburanti, attento al retail, con molti più operatori in concorrenz­a e prezzi spot».

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