Al palo i piani di sviluppo del «Gnl»
pÈ una carta vincente per rispettare vincoli ambientali dettati all’Italia dalla Ue da qui al 2030. Ma è anche un affare per l’industria. Quella della nuova mobilità e quella dell’energia, viste le sinergie che possono nascere tra generazione elettrica, reti metanifere e grandi trasporti. E invece no. Rischia di naufragare la grande promessa di utilizzare il gas Gnl – il metano raffreddato e liquefatto che già importiamo per rafforzare gli approvvigionamenti dei grandi gasdotti nazionali – per alimentare direttamente una parte significativa delle navi che solcano i nostri mari, i grandi camion a cui affidiamo l’80% dei trasporti nazionali, ma anche gli autobus delle sempre più inquinate città e buona parte di quel 25% delle ferrovie italiane che non sono elettrificate.
La tecnologia è pronta, e funziona molto bene. Ci sono i camion della Iveco che hanno 400 cavalli e fanno 1.500 chilometri con un pieno. Ci sono i kit per riconvertire i grandi motori dei camion in ibridi gasolio-Gnl, e quelli per trasformare le turbi- ne delle navi e i diesel dei treni e dei pescherecci. Peccato che i piani di sviluppo siano rimasti sulla carta. Si confida ora nella nuova edizione della “Sen”, la strategia energetica nazionale che il ministero dello Sviluppo dovrebbe presentare in Parlamento nei prossimi giorni.
Nel frattempo al Nord siamo poco oltre le prime battute. Al
Sud è il deserto di depositi, di infrastrutture e attrezzature per i rifornimenti. Recuperare terreno? È possibile e ampiamente conveniente, stando ai materiali preparatori della conferenza nazionale che si svolgerà il 10 e l’11 maggio a Napoli, proprio in quel Sud che anche qui rimane ai margini delle grandi promesse. Non è tanto una questione di risparmi in denaro, visto che a rendere competitivo l’uso del Gnl nei trasporti è oggi il minor carico fiscale, che l’ingordigia tributaria italiana potrebbe presto riallineare al rialzo. A rendere urgente l’operazione sono le nuove norme ambientali, che indicano proprio nel Gnl la soluzione ideale per i grandi trasporti: - 20% e oltre nelle emissioni di anidride carbonica, zero polveri sottili (quelle che opprimono le città) e un taglio secco del 99% all’anidride solforosa.
«Per il settore marittimo e portuale – spiega Diego Gavagnin, coordinatore della conferenza di Napoli – la data di riferimento obbligato è il primo gennaio 2020, quando non si potranno utilizzare combustibili marittimi con più del 0,5% di zolfo. Da notare che nei Mari del Nord di Europa e America questo limite è già allo 0,1% dal 2015. Avvertono gli esperti che se questi limiti non saranno rispettati, soprattutto nelle aree portuali, il contenzioso e le procedure sanzionatorie saranno inevitabili, e comunque aumenteranno in maniera significativa i problemi di salute pubblica».
Un piano di intervento sulla carta c’è. A suon di investimenti che, sempre sulla carta, sembrano poderosi. Mettendo insieme le promesse e le necessità del settore, gli analisti del Ref- E stimano, in uno studio preparato per la conferenza di Napoli, ben 1,3 miliardi di euro di investimenti al 2020, di cui 490 milioni per il downstream del Gnl(infrastrutture dei terminali, depositi costieri, autocisterne e metaniere), 290 milioni per il trasporto stradale pesante (motori per i camion), 250 milioni per le industrie extra-rete (come quelle che gestiscono i depositi satellite e le reti periferiche di distribuzione), 300 milioni direttamente per il trasporto navale.
Responsabilità? Un po’ di tutti. «La filiera dello small scale Gnl– spiega Gavagnin – sconta una difficoltà culturale delle imprese del big Gnl, abituate a contratti pluriennali, formule take or pay e indicizzazioni al petrolio. Lo small scale Gnl è invece più vicino al sistema della distribuzione carburanti, attento al retail, con molti più operatori in concorrenza e prezzi spot».