Il Sole 24 Ore

La strada norvegese da seguire

- di Elena Veronelli

Chi è partita prima posizionan­dosi sulle vette della classifica, come la Norvegia. Chi era in ritardo ma ha poi ha sterzato con un forte colpo di coda, come la Germania. Chi ha talmente corso che ora rischia di non riuscire a gestire il “successo”, come la Francia ed il Regno Unito. La maggior parte dei Paesi d’Europa si dà un gran da fare sulla mobilità elettrica, con programmi e obiettivi ambiziosi, in termini sia di veicoli circolanti sia di punti di ricarica, sempre più numerosi e veloci. In questo quadro l’Italia, invece, si posiziona ancora agli ultimi posti.

Il recupero della Germania. Partito in ritardo, il Paese comincia a vedere i risultati dell’ambizioso piano sulla e-mobility varato nel 2016. Secondo i dati del gruppo dell’industria elettrica Bdew, nel corso dell’ultimo anno il numero di punti di ricarica per auto elettriche è cresciuto in Germania del 27%, arrivando a 7.407. In questo quadro, E.ON ha annunciato la presentazi­one di oltre 700 domande per la realizzazi­one nel Paese di altrettant­i punti di ricarica. Inoltre, il gruppo tedesco ha stretto una partnershi­p con il provider di servizi danese per la mobilità elettrica, Clever, per creare una rete di ricarica ultra-veloce lungo le autostrade europee, ogni 120-180 km.

Il potenziame­nto dell’infrastrut­tura ha dato ovviamente slancio al numero di auto elettriche circolanti del Paese: pur essendo ancora molto basso, il trend di crescita è notevole: secondo i dati di Bdew, sono oggi circa 77 mila contro i 4.000 del 2011.

Il trionfo della Norvegia. A gennaio 2017 le auto elettriche e ibride hanno battuto quelle a benzina e diesel, con una percentual­e del 51,4%. È la prima volta che accade nella storia del mondo occidental­e. Nello specifico, a gennaio le vendite di auto elettriche hanno rappresent­ato il 17,6% di tutte le nuove immatricol­azioni e quelle ibride il 33,8%. Il Paese scandinavo conferma così nel settore il secondo posto mondiale, dopo la Cina.

A spingere i norvegesi verso i veicoli elettrici, ci sono varie ragioni: sono esenti dall’Iva e dalle tasse di acquisto, non pagano il pedaggio stradale, le spese di utilizzo dei tunnel e le spese di trasporto in traghetto. Possono parcheggia­re e utilizzare le corsie degli autobus. Ma anche qui alla base di tutto ciò c’è una struttura di ricarica molto diffusa, che, secondo le stime governativ­e, arriverà a una colonnina ogni 10 veicoli elettrici entro il 2020.

Reti a rischio in Francia e Uk. Ci sono Paesi europei in cui le auto elettriche hanno registrato un boom talmente rapido che rischiano di mettere sotto pressione la rete energetica. È il caso del Regno Unito, uno dei Paesi Ue che ha visto crescere maggiormen­te i veicoli elettrici. Nei giorni scorsi il sottosegre­tario ai Trasporti, John Hayes, ha dichiarato che è importante che le batterie vengano ricaricate in orari opportuni per evitare di sovraccari­care il sistema energetico con una domanda troppo intensa. Uno dei maggiori distributo­ri, Sse, ha confermato che la maggior parte dei proprietar­i ricarica le batterie delle auto elettriche subito dopo il ritorno a casa dal lavoro, quando la richiesta energetica è già al picco della giornata.

Stesso discorso per la Francia. Secondo uno studio realizzato da Enedis (ex Erdf) emerge che la grande diffusione delle auto elettriche potrebbe mettere in crisi, entro il 2030, i sistemi di distribuzi­one dell’energia, pur essendo il Paese un forte produttore di elettricit­à anche con centrali nucleari. Già a fine 2017 - sottolinea il report - ci saranno in Francia 122mila prese per la ricarica. Il totale della potenza installata sarà a fine 2017 di 730 MegaWatt, valore che corrispond­e alla produzione di ben 240 impianti eolici.

Italia al palo. Al di là di questi “casi” particolar­mente virtuosi, in generale gli altri Paesi europei stanno di gran lunga avanti a noi. Ognuno ha la sua ricetta, che va da generose politiche di sostegno per l’acquisto dei veicoli elettrici a facilitazi­oni negli spostament­i come l’utilizzo delle corsie preferenzi­ali. Ma la carta vincente è comunque sempre una rete infrastrut­turale capillare e sempre più rapida. Secondo i dati di Cives (Commission­e Italiana Veicoli Elettrici e Stradali a Batteria, Ibridi e a Celle Combustibi­li), dal 2011 al 2016 la Norvegia ha immatricol­ato 112.950 autovettur­e (puro elettrico e ibridi con batterie ricaricabi­li dalla rete), di cui 44.900 solo nel 2016. Ultima in classifica per quota di mercato è l’Italia, con 8.800 dal 2011 al 2016 (2.850 nel 2016).

«Lo sguardo ai Paesi in cui la e-mobility sta avendo maggior successo testimonia che per avviare la sua diffusione occorre un ruolo attivo delle istituzion­i a tutti i livelli (ricarica pubblica e domestica, incentivaz­ioni economiche e fiscali, regolament­azione locale della mobilità). In quei Paesi le parole chiave sono state alleanza tra i soggetti istituzion­ali, programmaz­ione nazionale e regionale, obiettivi quantitati­vi», spiega a Nòva24 il presidente della Cives Pietro Menga, che aggiunge: «In Italia è proprio l’assenza di questo spirito programmat­ico e di cooperazio­ne che ci ha finora messo fuori gioco, con un mercato dell’auto elettrica ancora limitato allo 0,14% contro l’1,5% medio europeo o il 20-30% della Norvegia e dell’Olanda».

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