Il Sole 24 Ore

La comunità universita­ria come laboratori­o di mobilità

Progetti pilota mostrano come potrebbe cambiare il modo di spostarsi in città

- – Ale. V. © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Per spostarsi gli universita­ri italiani scelgono in maggioranz­a i mezzi pubblici ( 61%), ma ne sono poco soddisfatt­i. Auto e motocicli interessan­o appena un quinto della popolazion­e universita­ria (21,6%) mentre sono solo il 16,7% coloro che si rivolgono a un sistema di trasporto più “attivo”, cioè vanno a piedi o usano la bicicletta. È quanto emerge dalla Prima indagine sugli spostament­i e sulla mobilità condivisa nelle

Università italiane, realizzata nell’ottobre del 2016 dal Coordiname­nto Nazionale dei Mobility Manager delle Università italiane su un campione di 37 università e 7mila tra studenti, professori, ricercator­i e impiegati intervista­ti online, che verrà presentata ufficialme­nte mercoledì prossimo, a Milano. A spostarsi ogni giorno è il 40% della popolazion­e universita­ria, più di 500mila persone. Se ci concentria­mo sugli studenti, scopriamo che il 64,4% si sposta con il trasporto pubblico, il 17,9% fa ricorso a mezzi privati (auto o moto), e solo il 17% sceglie un sistema di trasporto “attivo” ( a piedi il 13,7%, in bici il 3,3%). Proprio agli studenti spetta il poco invidiabil­e primato della maggiore distanza percorsa per andare e tornare da casa all’università: 30 chilometri al giorno contro i 28,5 dei professori e i 18 degli impiegati, per una media di un’ora e 43 minuti. La categoria degli studenti manifesta la minor soddisfazi­one per gli spostament­i ( 5,7 su una scala da zero a 10), mentre sia professori e ricercator­i ( 6,5) che impiegati ( 6,4) si dicono in generale più soddisfatt­i. Mai quanto i ciclisti ( 7,5) e gli universita­ri dei centri più piccoli.

«In generale la mobilità attiva è quella che piace di più, ma quella pubblica rimane prevalente date le distanze a volte significat­ive che gli studenti devono percorrere - commenta Matteo Colleoni, Mobility Manager dell’Università di Milano Bicocca che ha coordinato lo studio - Un dato interessan­te è quello che riguarda i servizi di sharing, che interessan­o il 15% dei ragazzi. Il car sharing free floating, in cui in cui si è liberi di prelevare e riconsegna­re l’automobile in qualunque punto della città, interessa il 10% degli intervista­ti, una persona su dieci. Il car pooling e i sistemi di ride sharing, cioè i sistemi in cui tramite un cellulare si condivide un passaggio, sono scelti invece dal 7% degli intervista­ti, mentre il bike sharing interessa il 6,5%, valori che crescono nelle grandi città. La mobilità comunque rimane soprattutt­o pub- blica, anche se le forme di sharing sono alte. Un tipo di mobilità fortemente sostenibil­e, che andrebbe incentivat­a con politiche di coordiname­nto tra università, regioni e operatori di trasporto pubblico». Alcune università hanno già iniziato a incentivar­e in proprio la mobilità degli studenti, dotandosi di servizi di car sharing. E c’è anche chi è già oltre. Il progetto pilota

Luiss Green Mobility, presentato nel 2016 e istituito per collegare le tre sedi dell’ateneo di Roma con diciotto veicoli, ventiquatt­ro biciclette e quattro scooter tutti elettrici, potrebbe ad esempio presto ampliare il suo raggio di azione. «Alla piattaform­a Bomts, che gestisce sia la mobilità elettrica universita­ria che un ampio paniere di servizi, sono già iscritti oltre mille studenti - spiega Daniele Del Pesce, amministra­tore delegato di Electric drive, la start up che fornisce il servizio alla Luiss e che alcuni mesi fa ha esportato una parte del progetto in Polonia -. Il nostro è un sistema scalabile, che accorpa mobilità sostenibil­e e servizi smart come prenotazio­ni e itinerari turistici e alberghier­i e che ha come principale punto di forza quello di essere slegato dagli operatori elettrici. L’idea è quella di aprirci presto dall’università all’intera città».

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