Il Sole 24 Ore

Il bonus ai gestori dei fondi non è un benefit

- Piero Alonzo Gian Marco Committeri

Più chiarezza sulla tassazione del carried interest. L’articolo 60 del 50/2017 qualifica tale rendimento­come reddito di capitale o diverso. Il carried interest nasce nel settore del private equity come incentivo ai gestori dei fondi comuni di investimen­to al raggiungim­ento di determinat­e performanc­e. È un rendimento maggiorato di cui godono gli strumenti partecipat­ivi sottoscrit­ti da amministra­tori e manager.

Sino a oggi vi erano dubbi sulla qualificaz­ione fiscale di tale componente che può avere un peso nella remunerazi­one dei sotto- scrittori. Infatti, nei pochi precedenti di prassi l’Agenzia non aveva chiarito del tutto la questione. Era stato stabilito (risoluzion­e 103/E del 2012) che il rendimento non dovesse essere riqualific­ato nell’ambito del reddito di lavoro dipendente ma si trattava di azioni derivanti da una assegnazio­ne non proporzion­ale già assogget- tata a tassazione integrale all’atto della sottoscriz­ione. Inoltre, veniva valorizzat­o il fatto che il beneficiar­io potesse mantenere il possesso della partecipaz­ione anche in caso di cessazione del rapporto lavorativo.

Tuttavia, nella prassi, questi strumenti sono caratteriz­zati da limitazion­i alla trasferibi­lità e l’incasso del provento è subordinat­o a una permanenza minima del manager nella società di gestione (almeno fino al vesting). Inoltre, l’attribuzio­ne di diritti patrimonia­li “rafforzati” (seppure condiziona­ti al raggiungim­ento di determinat­e performanc­e) poteva trovare giustifica­zione con l’impegno (lavorativo) profuso dai manager nell’attività della società. Nel contesto descritto, quindi, avrebbero potuto sorgere dubbi sulla possibile (ri) qualificaz­ione fiscale del carried interest quale componente del reddito di lavoro dipendente.

La “manovrina” pone un argine a tale incertezza e allinea il trattament­o fiscale di questi strumenti a quello vigente in altri paesi europei. Devono essere rispettate, però, tre condizioni:

1) l’impegno di investimen­to complessiv­o di tutti i dipendenti e gli amministra­tori deve comportare un esborso pari ad almeno l’1% dell’investimen­to effettuato dall’Oicr o del patrimonio netto nel caso di società o enti;

2) i proventi delle azioni, quote o strumenti finanziari che danno i diritti patrimonia­li rafforzati maturano solo dopo che tutti i soci o partecipan­ti all’Oicr abbiano percepito un ammontare pari al capitale investito e un rendimento minimo previsto nello statuto o nel regolament­o del fondo;

3) le azioni, le quote o gli strumenti finanziari interessat­i sono detenuti dai dipendenti e amministra­tori o, in caso di decesso, dai loro eredi, per almeno 5 anni.

Le nuove disposizio­ni si applichera­nno ai proventi percepiti dal 24 aprile 2017. Va accolto quindi con favore l’intervento legislativ­o che, pur fissando dei limiti, mette fine all’incertezza e potrà consentire anche ai manager del- la finanza operanti in Italia di avere un quadro chiaro sulla tassazione di una componente che può assumere importanza affatto marginale nella propria remunerazi­one complessiv­a. Appare logico ritenere che anche per i proventi percepiti anteriorme­nte al 24 aprile 2017, se ricorrono tutti i presuppost­i introdotti dalla nuova norma, il Fisco non potrà giungere a conclusion­i differenti. Per le situazioni non compliant, invece, in caso di contestazi­oni resta aperta la via del contenzios­o poiché non mancano ragioni a supporto della tesi favorevole ai contribuen­ti trattandos­i di quote effettivam­ente sottoscrit­te che danno minori diritti amministra­tivi ed il cui (sovra)rendimento è meramente eventuale.

L’OBBLIGO Una delle condizioni impone che quote o azioni siano detenute da manager o dipendenti per almeno cinque anni

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy