Un museo per raccontare il melting pot europeo
Nel fine settimana in cui i francesi sono chiamati a scegliere il loro nuovo presidente, optando per una Francia aperta e solidale o per una Francia chiusa e reazionaria, si è aperto ieri a Bruxelles un nuovo museo, tutto dedicato alla storia europea. I fili conduttori della nuova esposizione permanente voluta dal Parlamento europeo per celebrare la costruzione comunitaria sono molti, forse troppi, nel tentativo di evitare ottiche nazionali o di provocare tensioni nazionalistiche. Il progetto è però meritorio. Come diceva André Malraux, «il museo è uno dei luoghi che dà la più alta idea dell’Uomo».
La nuova iniziativa è ospitata nel Parc Léopold della capitale belga, in un palazzo anni Trenta voluto dall’americano George Eastman. L’inventore dell’apparecchio fotografico Kodak aveva fatto costruire l’edificio in stile Art déco perché accogliesse una clinica dentistica per i bambini meno abbienti. Il palazzo è stato totalmente ricostruito all’interno, ma è stata preservata la sala d’aspetto, decorata da grandi affreschi dipinti dall’artista belga Camille Barthélemy con le scene più note delle fiabe di Jean de La Fontaine.
La mostra permanente ripercorre la storia europea dall’Ottocento in poi. Ai più, i grandi momenti degli ultimi due secoli – dalla rivoluzione industriale all’avventura coloniale, dai due conflitti mondiali alla Guerra Fredda – appariranno noti e forse anche banali. Più affascinante è il tentativo dei conservatori di rivelare le radici di una Europa che è in fondo uno straordinario melting pot, con buona pace dei nazionalisti di Marine Le Pen o dei regionalisti di Matteo Salvini. Nella sua Histoire de l'Europe del 1990, René Rémond scriveva: «Se vi è un continente nel quale la popolazione non né autoctona né omogena, questo è proprio l’Europa».
È il paradosso europeo. Da venti secoli, il continente oscilla come una fisarmonica tra guerra e pace. Ma dietro alle divisioni culturali e politiche si nascondono incredibili contaminazioni reciproche. I tulipani arrivarono per la prima volta in Europa grazie all’ambasciatore austriaco a Costantinopoli che ebbe l’idea nel 1594 di inviare un bulbo del fiore al biologo olandese Carolus Clusius. La distillazione del whisky fu imparata all’inizio dell’XI secolo da monaci irlandesi che in viaggio nel baci- no del Mediterraneo scoprirono come i francesi e gli italiani distillavano profumi.
Nello stesso modo, Leonardo da Vinci apprese dall’artista francese Jean Perréal la tecnica a carboncino con la quale disegnò il celebre ritratto di Isabella d’Este. Qualche secolo prima, albicocche, limoni e arance, che oggi fanno la fortuna degli agricoltori italiani, giunsero nel Sud Europa dalla Cina. Mentre gli impermeabili di colore kaki, ormai in voga ovunque, sono una eredità dei soldati britannici che durante le guerre boere di fine Ottocento dovevano proteggersi dalla sabbia e nascondersi dal nemico. «Qui non vi è una linea da seguire – ha detto al momento dell’inaugurazione l’attuale presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani –. I messaggi diversi sono numerosi, la nostra storia e la nostra eredità sono qui, i nostri problemi e i nostri disastri anche. Ciò detto, studiando il nostro passato possiamo avere un futuro migliore». Per colui che ebbe l’idea del museo, il cristiano democratico tedesco Hans-Gert Pöttering, presidente dell’assemblea parlamentare dal 2007 al 2009, l’iniziativa deve servire a celebrare i “valori” europei.
La Casa della Storia Europea occupa sette piani, su oltre quattromila metri quadrati, e raccoglie tremila oggetti provenienti da 300 musei europei. Il tentativo è pedagogico, in un contesto in cui l’emergere di partiti estremisti e l’uscita del Regno Unito dall’Unione provoca gravi incertezze sul futuro del continente. Brexit stessa non viene ignorata se è vero che l’ultimo piano, quello dedicato agli ultimi anni dell’Unione, raccoglie i manifesti elettorali del referendum del 23 giugno del 2016. Nonostante le contaminazioni reciproche tra i Paesi europei, l’ottica pan-europea è sempre difficile da rendere. Andrea Mork, una delle curatrici della mostra, ha detto di essersi fatta ispirare da «eventi, sviluppi e fenomeni». Più che qualsiasi oggetto forse è più efficace il riassunto di George Steiner nel suo The idea of Europe del 2005: «Finché ci saranno caffè, l’idea di Europa avrà un contenuto». L’opinione è astratta, quasi inafferrabile, ma ha il merito di essere evocativa e forse anche romantica, un sentimento quest’ultimo di cui si sente spesso la mancanza.