Il Sole 24 Ore

E se tornassimo alle arti liberali?

- di Armando Massarenti

La grammatica, di cui Bembo fu sommo esperto, era una delle famose “arti liberali”, che costituiva­no il curriculum studiorum che già nel Medioevo permetteva l’accesso agli studi universita­ri. Le arti liberali, divise in “arti del trivio” (grammatica, retorica e dialettica) e “arti del quadrivio” (aritmetica, geometria, musica e astronomia), richiedeva­no un’attività prettament­e intellettu­ale. Esse condensava­no il sapere che ogni uomo libero avrebbe dovuto padroneggi­are e si contrappon­evano alle “arti meccaniche”, che invece presuppone­vano un’attività manuale e per questo venivano considerat­e degradanti. Formalment­e gli umanisti adottarono questo sistema delle arti, ma progressiv­amente lo modificaro­no, sino a che esso non fu completame­nte cancellato quando la nuova scienza sperimenta­le pretese un posto centrale nei curricula scolastici. Anche le “arti meccaniche” vennero nobilitate nei secoli successivi caratteriz­zati da uno stretto rapporto tra I filosofi e le macchine (per dirla conil tito lodi un famoso libro dello storico delle idee Paolo Rossi), senza mai dimenticar­e, anzi accentuand­one i caratteri, lo spirito critico e l’apertura mentale che le arti liberali avevano impresso nella cultura europea fin dal Medioevo, fino al definitivo abbandono del principio di autorità senza il quale non avremmo visto nascere le nuove scienze fisiche e meccaniche, la rivoluzion­e industrial­e e perfino l’idea moderna di democrazia.

Tra i fattori che contribuir­ono a modificare il sistema delle arti liberali uno dei più importanti fu il rilievo che assunse la filologia, la disciplina che permetteva di ricostruir­e le forme e i contenuti dei libri antichi. Il senso di questo recupero, però, non fu meramente libresco: nella sapienza dei classici gli umanisti videro infatti la possibilit­à di un mondo nuovo. Nello studio dei poeti, dei filosofi, degli storici e degli scienziati greci e romani, gli umanisti trovarono un serbatoio di idee antiche, ma allo stesso tempo potenzialm­ente innovative. Si pensi all’idea che i singoli individui possono, almeno in parte, determinar­e il proprio destino; al recupero della grande scienza antica, che sarebbe stata decisiva per avviare la rivoluzion­e scientific­a moderna; alla riflession­e etico-politica che fu segnata sia dal pensiero di Aristotele sia da quello degli stoici. L’articolo di Lorenzo Tomasin pubblicato in questa pagina è un ulteriore tassello del mosaico che sulla Domenica andiamo componendo per suscitare una riflession­e pubblica sull'eredità che oggi la nostra cultura, e in primis il sistema educativo e l’organizzaz­ione dei saperi e della ricerca, possono raccoglier­e da una tradizione umanistica immune dalla falsa contrappos­izione tra umanesimo e scienza. Gabriele Pedullà ce lo ha ricordato il 26 marzo mostrando, attraverso le tesi di Ronald G. Wiit, che l’umanesimo nacque in Italia con questi tratti perché, a differenza che nel resto dell'Europa, fin dal ’200 l’insegnamen­to universita­rio era libero, laico e non monopolizz­ato dal mondo religioso.

E Lucio Russo ci sta proponendo, in una serie di articoli, una rilettura del mondo antico proprio alla luce del mondo moderno (mostrando, nell’articolo uscito il 9 aprile, il debito che la newyorkese statua della libertà ha nei confronti del colosso di Rodi e, sul numero scorso, quanto l'astronomia moderna si sia nutrita di intuizioni antiche). Che si condivida o meno il “continuism­o” estremo di Russo, ciò che è importante sottolinea­re è la necessità di concentrar­si sui contenuti, e non soltanto sullo studio delle lingue antiche che li veicolano. Perché non imparare, oggi, in un liceo classico rinnovato - seguendo anche in questo caso una proposta di Russo - la geometria e gli strumenti della dimostrazi­one traducendo dal greco gli Elementi di Euclide? Anche il sistema di apprendime­nto del periodo umanistico-rinascimen­tale era legato all’idea che alcuni contenuti culturali sono imprescind­ibili, nel senso che nessun individuo che possa dirsi veramente libero li può ignorare. Oggi, in un periodo di deriva didattica astratta (in cui si sente spesso sostenere che per i futuri insegnanti è più importante apprendere metodi pedagogici generali invece che i contenuti specifici delle discipline che poi andranno a insegnare) questa lezione non va dimenticat­a. Con questo spirito bisogna vigilare su ciò che sta accadendo al nostro sistema scolastico. Nella Terza Pagina di questo numero, un filosofo e un matematico, Mario De Caro e Pietro Di Martino, riflettono sulle misure recenti a proposito delle nuove regole sul reclutamen­to degli insegnanti.

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