DANZA: «ESTASI» A FORTI TINTE POP
Enzo Cosimi dedica al desiderio la seconda tappa della trilogia «Sulle passioni dell’anima». Tourbillon di luci, suono ed esaltato colore
Più volte esplicitato, lo scopo di Francis Bacon, celebre pittore inglese, “era scioccare visivamente”. Distorcendo facce e corpi, raggiunse quella sua forte ed espressiva bellezza in grado di mandare in estasi. Sulla contraffazione dei corpi dei suoi sei danzatori, il corrosivo coreografo Enzo Cosimi deve aver riflettuto a lungo, prima di accingersi a formulare Estasi, seconda tappa della trilogia “Sulle passioni dell’anima” dedicata al desiderio, dopo Fear Party (2015), improntato alla paura e prima del non ancora nato Thanks for hurting me sul tema del dolore. Bacon, cui Cosimi dedicò un suo lontano assolo, non è tuttavia la fonte ispiratrice della misteriosa “mascherata” pop, pregna di bellissimi colori, vista al Kismet di Bari. Per Estasi il coreografo romano si è ispirato ai massi coloratissimi sovrapposti l’uno sull’altro e spesso immersi in paesaggi di natura incontaminata dell’artista svizzero Ugo Rondinone, emananti un senso di innocenza primordiale e ludica festosità.
È la stessa impressione che sulle prime ci avvolge nell’abbacinante chiarore della scena spoglia allorché cominciamo a scrutare, uno ad uno, i corpi nudi ma pittati di tinte squillanti e di strisce bianche o nere. Sopra una musica di sottofondo, simile a un mantra ed espunta dal Nine Inch Nails (un gruppo pop underground), queste figure aliene si vestono di pochi indumenti rigonfiati sul fondo schiena e di parrucche eccitate. Intrappolano i loro volti in calzemaglia dalle lunghe protuberanze, oppure li imprigionano in maschere in plexiglas con gote rosso ciliegia. Colpisce il loro incedere calmo e caldo come i gesti che diverranno erotici in metafore di sesso a due, a tre e d’insieme senza generi distinti.
Sono ammucchiate dalle quali non scaturisce volgarità ma una sorta di torpore allucinato, di desiderio di piacere sbiadito da una strana mancanza d’energia, come se i sensi fossero appannati e i corpi galleggianti in una bolla: i respiri non sono mai affannosi e la sensualità è attutita da un essere altrove. Magari tra quelle bolle di sapone che solcano l’aria leggere e inconsistenti.
A questi corpi artefatti tocca cantare sottovoce I feel good, “sto bene” (da Nina Simone) come se fossero in Paradiso. Di grande intensità un quadro fermo, di gruppo, in cui i corpi-colori danno risalto a un collage cromatico speciale, sopraggiunto dopo accoppiamenti e danze in girotondo e un avanzare di gruppo come alberi dalle braccia protese all’insù. Scatta la canzone clou di quest’ideale prima parte, l’inossidabile Je t’aime moi non plus, e si conclude con una frase di Pasolini, una sorta di sinfonia soul in cui non sembra esservi che coreografia sottotraccia. Poi il passo diviene più lesto, gli stracci a terra finiscono sulle teste dei danzatori come fossero africani in quel desertificato chiarore già illuminato da una mirror bowl finalmente attiva, e da una serie di scatti fotografici in proiezione che fissano gli interpreti tutti da citare (da Paola Lattanzi a Elisabetta Di Terlizzi, da Daniele Albanese a Pablo Tapia Leyton), per come sostengono la pressione performativa, oltre che coreutica della pièce.
Ma qui ormai, nell’ideale seconda parte, il Paradiso si è sporcato, quasi che l’estasi in sé di qualunque tipo sia stata - fisica, spirituale, o indotta da sostanze stupefacenti - non bastasse al raggiungimento del piacere desiderato. Le luci, infatti, si abbassano, gli accoppiamenti diventano assai movimentati, la danza esplode in certi assoli maschili e nel viluppo di coppie che rasentano distorsioni “à la Bosch”. C’è bisogno di amore, anche se un’altra interprete, Alice Raffaelli, grida il contrario senza emettere suono, mentre le frasi, tratte dall’Eliogabalo di Camus da Artaud, al microfono di Gianni Santolini, girano intorno a notti stellate e visioni celesti.
Tra scricchiolii e qualche urlo a terra dove tutti si ritrovano stesi, l’immagine in proiezione di un Adamo ed Eva, dalle parti intime coperte e quasi intimoriti dinnanzi all’obiettivo, svela fragilità, turbamento, desiderio di pienezza assoluta di vita, ma l’aria “Lascia ch’io pianga”, metafora di quel dolore cui l’artista si dedicherà a breve, non può che ammannire almeno melanconia. Con veli bianchi sui volti tutti i danzatori portano in trionfo l’interprete dell’Amore negato e muto: sul volto bellissimo e puro della Raffaelli, e su di una montagna di stracci “alla Pistoletto” si chiude la performance.
In Estasi, Cosimi trascina con sé, come è solito fare, ricordi di creazioni già allestite. Gli stracci rimandano A la bellezza ti stupirà, lavoro sugli homeless sapientemente trasformati in principi di vera nobiltà. Nel cinguettio di natura che intacca le sonorità di Thomas Könner c'è pure un alito di Calore, bruciante performance iniziale e di riferimento (1982 ripresa nel 2012) nel percorso dell’artista sempre desideroso di stupire anzitutto se stesso. Tuttavia eros, sesso e desiderio sono già stati sin troppo indagati dall’artista, anche se qui resi sbiaditi dallo spirito di un tempo abulico, stordito. Estasi vince nella silenziosa azione nello spazio, nel ricamo dei movimenti non naturali, o anche tali ma con uno zelo malizioso introiettato. E nel contrastante tourbillon di luci-suono-esaltato colore.
Estasi, Compagnia Enzo Cosimi, Kismet, Bari;Teatro della Fortuna, Fano, 28 maggio e in tournée
In copertina ha il logo della nuova sala intitolata a Pierre Boulez, a Berlino, voluta da Daniel Barenboim e commissionata all’architetto Frank Gehry: quel nido, a cerchio, un filo avviticchiato su se stesso, sintetizza le caratteristiche centripete e modulabili dell’auditorium, pensato per dar vita anche alle partiture del compositore francese, che chiedevano interpreti variamente collocati nello spazio. I due cd ne raccolgono sei capisaldi: da “Dérive 2”, un gioiello, a “Le Marteau sans maître”, il capolavoro più eseguito. Suonano i giovani solisti della Divan, eccellenti, e soprattutto spronati da Barenboim a passionalità e calore insoliti, in Boulez. Ma che lo vestono perfetti. (C.M.)
Hommage à Boulez; West-Eastern Divan Orchestra, direttore Daniel Barenboim; 2 cd DG