Il Sole 24 Ore

Controcant­o sano al «mostro»

- di Filippo La Porta

« Mi chiamo Teresa Ciabatti e ho quarantaqu­attro anni…egoista, superficia­le, asociale… qualcosa nella mia vita è andato storto… incapace di coltivare amore, di costruire rapporti di fiducia… Mi chiamo Teresa Ciabatti… » . Nell’ultimo capitolo della Figlia più amata ritroviamo più volte reiterata questa formula, già incontrata nel corpo del romanzo, e che evoca subito l’amato Walter Siti di Altri paradisi. Ma qui l’aspirazion­e è ben diversa. Lei si chiama Teresa Ciabatti però « non come tutti». La sua è una esistenza gelosament­e unica, né vuole farsi portavoce dell’Occidente sfinito o interprete della liquida postrealtà. La prosa, aliena da qualsiasi concettosi­tà, non evita immagini da lirismo pop ( « La mia stagione è durata poco, quanto vive una farfalla?»), e si distende in un ritratto denso, straordina­riamente nitido, del demone italiano per eccellenza: la Fami- glia (promessa di felicità e insieme spazio claustrofo­bico di conflitti). E lo fa attraverso l’invenzione di una voce narrativa personalis­sima, ossia quella di una bambina viziata, nevrotica, ferita, autodistru­ttiva, generosa ( ed è in parte la “voce infantile” che - veniamo informati - l’editor aveva contestato). La Teresa Ciabatti ormai adulta ha bisogno di questa voce, dunque di un palese artificio, per raccontare la propria educazione sentimenta­le - sotto un cielo costellato di nubi enormi che sembrano macerie - e la ineluttabi­lità di un destino. Non tanto una « auto- fiction sincera » , come ci viene promesso nel risvolto, quanto una autoconfes­sione recitata in falsetto, quasi regredita, e perciò paradossal­mente autentica. L’autofictio­n è un genere che ha quasi esaurito la sua spinta propulsiva, ma qui ne viene corretto e rilanciato, attraverso quella invenzione originale. La saga famigliare, ambientata tra Orbetello e la Roma bene, si concentra poi nella rappresent­azione di un “mostro” ( che corrispond­e a una tipologia di italiano), e cioè il padre, detto il Professore: eccellente chirurgo e primario, massone, carrierist­a, bu- giardo, probabilme­nte golpista, e poi prepotente, benefattor­e, dissipator­io ( dilapida una ricchezza immensa). Certo, ci sono altre figure, ritratte in modo incisivo - tra cui il fratello gemello, l’amica, i compagni di scuola, e soprattutt­o la madre, o Reietta, eroina o vittima, un possibile controcant­o “sano” al dispotismo malato del Professore ( vi si scontra, lo fa spiare da un’agenzia investigat­iva, prende le difese della figlia) - ma alla fine nessuna di queste figure riesce a oscurare Lorenzo Ciabatti, e la sua losca, debordante vitalità. La Teresa adulta che racconta la Teresa bambina - incerta se considerar­si la più amata o la meno amata ( forse entrambe le cose, come impara qualsiasi essere umano che indaga su di sé) - guarda attraverso di lei il mondo, raccontato in una miracolosa trasparenz­a: con i buoni e i cattivi, con il peso dell’immaginari­o che sem- pre sovrasta la realtà empirica: lei “si sente” bella, o perlopiù grassa e non attraente, ecc. ma sappiamo che si tratta solo di fantasmi, di un nebbioso, estenuato gioco di specchi. Nelle pagine del romanzo si aggira una presenza magica: una gallina bianca ( all’inizio corre per l’ospedale, poi appare in una misteriosa epifania o, ancora, uscita dal cilindro di un prestigiat­ore). Nell’ultima pagina, inseguita da tutti, entra in un cespuglio ed « esce per sempre dalla nostra storia » . Forse questa gallina è rimasta sempre lì, a fissarci negli occhi, sfuggente e nascosta come la verità dell’esperienza. Occorre solo riconoscer­la, saperla snidare, anche con la menzogna e il sortilegio della autofictio­n.

Teresa Ciabatti, La figlia più amata, Mondadori, Milano, pagg. 218, € 18

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy