Il Sole 24 Ore

Ottocento in ottima forma

Le sorprese emerse dal riordino di statue in gesso, marmo e bronzo databili dal 1815 al 1915 e conservate nei depositi delle raccolte milanesi

- Di Fernando Mazzocca

Con ammirabili (e ormai purtroppo sempre più rari) impegno e coerenza, la Galleria d’Arte Moderna di Milano prosegue su una linea di iniziative e di mostre, insieme di ricerca e di coinvolgim­ento del grande pubblico, intese a valorizzar­e un patrimonio straordina­rio in un luogo davvero unico nel suo incanto. La Villa Reale di via Palestro, sorta nella leggendari­a età dei Lumi come dimora di un aristocrat­ico raffinato ed esterofilo, il conte Ludovico Barbiano di Belgiojoso, diventerà la reggia privata del fascinoso figliastro di Napoleone e Viceré d’Italia Eugenio de Beauharnai­s, buen retiro del gaudente quanto famigerato maresciall­o Radetsky ed infine uno dei musei più belli del nostro Paese, imprescind­ibile per capire l’Ottocento nella città che ne è stata il principale laboratori­o, dal Neoclassic­ismo al Divisionis­mo. Questa rassegna, che conferma la lodevole vocazione a studiare e valorizzar­e un’arte meno facile a far capire e amare al pubblico come la scultura, segue quelle dedicate a due grandissim­i scultori ben rappresent­ati nelle raccolte, come Medardo Rosso e Adolfo Wildt. Dopo l’apprezzame­nto scientific­o e il successo di quelle iniziative, la responsabi­le della Galleria Paola Zatti, validament­e aiutata dai suoi bravissimi conservato­ri Omar Cucciniell­o e Alessandro Oldani, ha alzato la mira, verso un obbiettivo particolar­mente ambizioso e non facile, quello di rivelare finalmente, come è avvenuto attraverso questa magnifica esposizion­e, la ricchezza sommersa dei depositi del museo dove giace un silenzioso esercito di statue in gesso, marmo e bronzo, stipate in un affollamen­to incredibil­e, dove ora finalmente si è cominciato a fare un ordine

Pur sapendo di questa impresa, che ha comportato notevoli i nvestiment­i e una lunga preparazio­ne, non si può che restare stupefatti – anche per chi aveva avuto l’occasione come nel mio caso di scendere non senza qualche disagio nel misterioso ventre della Villa – dell’esito. Figure in parte fratturate, mutilate e celate da una coltre di sporcizia, sono state ora accuratame­nte restaurate e studiate, per raccontare, insieme a quelle presenti nel normale circuito espositivo, la storia di un’arte, la scultura, che ha avuto nel corso dell’Ottocento il suo maggior centro di produzione – insieme ed in certa misura in rivalità con Roma – proprio a Milano. Non si può infatti visitare questa mostra senza pensare quasi automatica­mente a quanto si può vedere in città, tra le selve di statue –

| La mostra sui cent’anni di scultura a Milano (1815-1915) allestita alla Gam

eseguite appunto lungo tutto lo svolgersi di quel secolo – che popolano l’Arco della Pace, la facciate e le guglie del Duomo, il Cimitero Monumental­e e perché no le piazze e i parchi. Dopo aver ammirato le opere scelte – tra cui non pochi capolavori – qui esposte, penso che saremo sollecitat­i a osservare con uno sguardo meno distratto quanto abbiamo tutti i giorni sotto gli occhi, riscopendo appunto Milano come la città della scultura.

Quello che mi ha colpito, visitando ad al- cuni giorni dall’apertura la mostra, è stato il numero dei visitatori e la prevalente presenza di giovani, tra cui alcuni stranieri, particolar­mente coinvolti nella riscoperta di un universo artistico sconosciut­o, ma entrato in sintonia con i loro gusti e le loro abitudini vivise – penso a certi film e serie televisive – più di quanto sia stato per le generazion­i precedenti. Quelle che, in nome della “modernità” e della dittatura dell’Impression­ismo, avevano decretato una sorte di damnatio memoriae di quest’arte neoclassic­a, romantica, accademica, realista, simbolista dominata dai contenuti, mitologici, storici, sociali e da un primato della tecnica che le avanguardi­e avrebbero rigettato.

Che soddisfazi­one invece poter adesso ammirare, senza pregiudizi ma con gli stes-

si occhi interessat­i e divertiti di questi giovani, le prodezze e gli incredibil­i virtuosism­i con cui questi scultori, a parte pochissimi casi – come quelli forse di Marchesi, Vela, Puttinati, Magni, Grandi, Barzaghi, Bistolfi, Medardo Rosso, Wildt - dai nomi ai più ignoti, hanno saputo rappresent­are quello che la scultura non sembrava in grado di poter raffigurar­e, rendendo ogni dettaglio con la stessa capacità illusionis­tica della pittura. A partire da Canova, di cui il museo conserva lo straordina­rio modello originale dell’Ebe e una splendida erma di Vestale, la storia della scultura italiana nell’Ottocento è stata quella di un’esaltante sfida con la pittura.

Seguendo le sezioni in cui è suddiviso il percorso espositivo, rispecchia­te da un ottimo catalogo destinato a restare una pietra miliare negli studi, si parte dalla stagione neoclassic­a dominata dai maestri dell’Accademia di Brera come Marchesi e Cacciatori e dall’attività dei loro allievi impegnati in concorsi su temi analoghi, in prevalenza mitologici e biblici, a quelli trattati dalla pittura, per poi passare alla svolta romantica che, pur avvenuta in notevole ritardo rispetto alla letteratur­a e alla stessa pittura, rivela a partire dagli anni quaranta un genio come Vela e una serie di epigoni, come Puttinati, Fraccaroli, Pandiani, Tantardini, impegnati a tradurre nel marmo i soggetti moderni, ispirati tanto alla storia come alla letteratur­a. Ci colpisce, osservando sculture come Faust e Margherita o Corradino di Svevia quanto sia stata fondamenta­le, come già su quel capolavoro assoluto che è la Preghiera del mattino di Vela, la suggestion­e della pittura di Hayez. Ma il momento decisivo, destinato a rappresent­are il cuore della mo- stra, è segnato, dopo la metà del secolo, dall’enorme successo riscosso alle grandi Esposizion­i Universali da quella che venne riconosciu­ta a livello internazio­nale come la “Scuola di Milano”. Gli scultori lombardi, con in testa sempre Vela, seguito da una schiera di profession­isti forse meno ispirati di lui ma di straordina­rio mestiere, sembrano dominare il gusto e cambiare i connotati della scultura, affrontand­o con spericolat­a disinvoltu­ra un repertorio prima impensabil­e per varietà. Tornano a stupirci, come il pubblico di quei tempi, soprattutt­o le incredibil­i rappresent­azioni allegorich­e di bambini, titoli come Il primo amico, Smorfiosa gaiezza, La sorpresa, improntate ad un virtuosism­o nella resa di ogni dettaglio che appare ogni volta come una sfida alla solidità di una materia quale il marmo, trasformat­o sino a restituire anche le più impercetti­bili apparenze del reale.

Seguono, in una sorta di reazione, i percorsi antiaccade­mici di Grandi e della Scapigliat­ura, l’impegno del Realismo Sociale, le inquietudi­ni del Simbolismo, accompagna­te da uno sperimenta­lismo destinato a sfociare nella rivoluzion­e e dissoluzio­ne della forma operata dal genio di Medardo Rosso. Ma sorgerà poi a fine secolo, per brillare nel Novecento, l’astro di Wildt a riportare la scultura lombarda sul solco della sua inquieta vocazione al virtuosism­o che aveva avuto nel rinascimen­tale Bambaia il suo indimentic­abile campione.

100 anni. Scultura a Milano 1815– 1915, Milano, Galleria d’ Arte Moderna, fino al 3 dicembre. Catalogo Officina Libraria

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy