Revocatoria senza restituzione
Per la Corte d’appello di Palermo occorre che il terzo creditore eserciti un’azione esecutiva sul bene ceduto Il giudice non condanna in automatico l’alienante a rendere la somma all’acquirente
pIl giudice che accoglie la domanda revocatoria può condannare l’alienante a restituire al compratore la somma pagata per l’acquisto del bene; ma si tratta di una condanna condizionata all’esercizio, da parte del terzo creditore, di un’azione esecutiva sul bene venduto. Sono questi i principi che si ricavano dalla sentenza 280 della Corte d’appello di Palermo (presidente Picone, relatore Giunta) dello scorso 17 febbraio.
Nel 2009 una donna aveva venduto alle proprie sorelle, per il prezzo di 12mila euro, la sua quota di proprietà di un appartamento. Un creditore della alienante aveva quindi esercitato l’azione revocatoria prevista dall’articolo 2901 del Codice civile, e il tribunale, in accogli- mento della domanda, aveva dichiarato l’inefficacia della vendita nei confronti dello stesso creditore.
Contro la decisione hanno presentato appello le acquirenti, eccependo l’inesistenza dei presupposti per l’esercizio dell’azione revocatoria. Dal canto suo, il creditore ha chiesto di respingere l’appello e di confermare la sentenza di primo grado.
La Corte ha respinto l’impugnazione. Secondo i giudici d’appello, infatti, ricorrono le condizioni previste dall’articolo 2901 per la pronuncia di inefficacia della compravendita. Innanzitutto, al momento della stipula dell’atto notarile di cessione del bene era già esistente il credito dell’appellato (attore in primo grado). Inoltre, la vendita danneggiava quest’ultimo, perché determinava una «diminuzione attuale ed effettiva del patrimonio della debitrice». Sulla questione, i giudici ricordano - richiamando la sentenza 1896/2012 della Cassazione - che «l’eventus damni ricorre non solo quando l’atto determini un danno effettivo, ma anche quando comporti un semplice pericolo di danno». Come, ad esempio, nei casi in cui la disposizione patrimoniale provochi «una maggiore difficoltà, incertezza o dispendiosità nell’esazione coattiva del credito».
Infine le acquirenti, essendo sorelle della venditrice, erano certamente a conoscenza «sia dell’esistenza del credito sia del pregiudizio che l’atto di disposizione (…) avrebbe arrecato alle ragioni del creditore». Infatti, la prova di tale consapevolezza «può essere ricavata - prosegue la Corte, citando la sentenza 5359/2009 della Cassazione - anche da presunzioni semplici, compresa la sussistenza di un vincolo parentale tra il debitore e il terzo». Peraltro, che le acquirenti fossero partecipi della manovra contro il creditore si poteva desumere dal fatto che il valore di mercato della quota alienata era risultato, in base a una consulenza tecnica d’ufficio, pari a più del doppio del prezzo pagato per la vendita.
Le appellanti avevano contestato anche la bocciatura della loro richiesta di condanna della alienante a restituire la somma versata al momento della conclusione del contratto. Sul punto, la Corte afferma che l’azione revocatoria non fa rientrare il bene nel patrimonio del debitore, perché l’atto revocato conserva la sua «efficacia traslativa o costitutiva del diritto» in favore dell’acquirente. Piuttosto, la sua funzione consiste «nel ricostituire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del debitore ex articolo 2740 del Codice civile»; ciò quando la consistenza dei beni dello stesso debitore si sia ridotta, a causa dell’atto dispositivo, «al punto da pregiudicare la realizzazione del diritto del creditore con l’azione espropriativa».
Nel caso in esame, non risultava che il creditore avesse esercitato un’azione esecutiva sulla quota del bene che la sua debitrice aveva venduto alle sorelle, sicché il danno lamentato da queste ultime doveva «ritenersi solo ipotetico». Così la Corte d’appello ha condannato la venditrice a pagare alle appellanti l’importo di 12mila euro (ricevuto al momento della firma del contratto), ma ha sottoposto l’effettivo versamento della somma alla condizione sospensiva della proposizione di un’azione esecutiva, da parte del creditore/ appellato, sul bene venduto.
LA PRECISAZIONE Il fatto che le compratrici fossero consapevoli del possibile danno al terzo si presume dal rapporto di parentela con la venditrice