IL DIGITALE AL SERVIZIO DI UNA SOCIETÀ RICONFIGURATA
Un lungo periodo di fanatismo tecnologico che ha condotto tanti a ritenere che ogni novità digitale fosse destinata a migliorare il mondo è stato seguito da una fase ipernegativa nella quale il digitale ha cominciato ad essere associato a ogni problema: dalla crisi dell’informazione alla crisi della democrazia, passando per una serie di crisi che hanno coinvolto molti settori economici tradizionali. Ora è tempo di ricostruire un discorso di prospettiva, non ideologico, capace di valorizzare le opportunità e ridurre i rischi.
«Il digitale che si è configurato nel mondo attuale - dice Evgeny Morozov, lo storico della relazione tra tecnologia e società che ha contribuito a diffondere un senso critico nei confronti del digitale - non è la causa, ma la conseguenza dei problemi della nostra società». E certamente non sarà un diverso digitale a causare il loro superamento. Ma un diverso progetto di società. Intervenendo ai festival di Mantova e Camogli, Morozov ha parlato della necessità di ripensare il progetto di società a partire dai temi della cittadinanza: per Morozov, nella narrazione attuale, il cittadino che era persona degna di diritti è stato trasformato in un fruitore di servizi che ottiene in cambio del pagamento delle tasse. Una riconfigurazione del concetto di cittadinanza può partire dal contesto della politica cittadina, sostiene Morozov che con Francesca Bria, assessore all’Innovazione a Barcellona, ha scritto “Ripensare la smart city” (Codice 2018). Se si progetta la società in base al diritto delle persone alla casa, al lavoro, all’accesso alla conoscenza, per esempio, la tecnologia può essere un grande acceleratore di fenomeni: e sarà progettata in modo da garantire alla città la sovranità digitale. A Barcellona, i dati sono intesi come bene comune, le piattaforme sono tecnologie al servizio dell’accelerazione innovativa locale, l’ecosistema è incentivato a lavorare con strumenti aperti, e così via. Inoltre, Barcellona lavora alla costruzione di una rete di città che si aiutano e scambiano soluzioni.
È un punto di vista. Ma ha il vantaggio di testimoniare che di fronte alla critica del digitale centralizzato in poche grandi piattaforme americane non basta il lamento: una strategia alternativa esiste e si può tentare. Internet era nata come architettura aperta e distribuita. Il web favoriva lo scambio di conoscenze ed era pensato nel quadro dei beni comuni. La privatizzazione e la concentrazione delle risorse in poche mani che è emersa recentemente sulla rete è solo una delle forme che questo ambiente può assumere. Ma perché le tendenze di fondo cambino, perché si riducano gli abusi e i rischi socio-economici, occorrono alternative. Tentare vie alternative è una necessità per qualunque civiltà in questa fase storica. Cinesi e russi, coreani e indiani, hanno le loro strategie in proposito. Gli europei sembrano meno attrezzati. La grande progettualità che si sintetizza con il nome di “Industria 4.0” può essere un inizio di strategia: i robot e le macchine della produzione devono pur parlare tra loro e con gli umani e la gestione della conoscenza, con il software che ne consegue, necessaria a farli funzionare può essere la premessa di una tecnologia europea. Che si unisce alla policy a favore della concorrenza, della privacy, dellequità fiscale, portata avanti da Bruxelles. Ma occorre che a tutto questo si unisca una grande consapevolezza.