L’ok sui conti nel penale vale anche nel tributario
Stop all’avviso che contesta la contabilità considerata veritiera da un tribunale Il giudice deve valutare il materiale che proviene da un altro procedimento
In caso di accertamento di maggiori redditi basato sull’inattendibilità della contabilità, il giudice tributario non può non tener conto della veridicità delle scritture contabili attestata dal tribunale al momento della omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti e della pronuncia penale di assoluzione perché il fatto non sussiste. Anche se, infatti, il procedimento penale e quello tributario non si influenzano tra loro, il giudice tributario può comunque valutare il materiale probatorio proveniente dal procedimento penale ed acquisito agli atti per verificare la rilevanza fiscale. Sono queste le principali conclusioni cui è giunta la Ctr delle Marche, con la sentenza 44/1/2018 (presidente Lauro, relatore Sereni Lucarelli).
La vicenda riguarda un avviso di accertamento Ires, Irap e Iva emesso nei confronti di una società a responsabilità limitata di costruzioni, con cui l’ufficio delle Entrate, a seguito di una verifica, accertava per l’anno di imposta 2009 redditi non dichiarati sulla base dell’asserita inattendibilità della contabilità e della conseguente ricostruzione indiretta dei ricavi derivanti dalla vendita di immobili sulla base dei coefficienti Omi.
Contro l’avviso, la società proponeva ricorso innanzi alla Ctp di Ancona che, con sentenza del 2013, lo respingeva, confermando la legittimità dell’avviso di accertamento.
Appellata tempestivamente la sentenza di primo grado dinanzi alla Ctr di Ancona, oltre a contestarne l’illogicità, con successiva memoria, la difesa faceva altresì rilevare ai giudici regionali che la presunta inattendibilità della contabilità su cui si basava l’accertamento era stata smentita dalla valutazione di veridicità e regolarità effettuata dal Tribunale di Ancona in sede di omologazione dell’accordo di ristrutturazione in base all’articolo 182-bis della legge fallimentare chiesta e ottenuta dalla medesima società.
Inoltre, sempre la difesa faceva rilevare che, essendo superiore ai limiti legali di punibilità prescritti dall’articolo 4 del Dlgs 74/2000, la contestazione di maggiori asseriti redditi aveva determinato anche l’avvio del procedimento penale a carico della stessa società e che, con sentenza pronunciata nel 2015 e passata in giudicato, il Tribunale di Ancona ne aveva decretato la piena assoluzione perché il fatto non sussiste.
Nell’accogliere l’appello, i giudici marchigiani hanno innanzitutto precisato che, per costante orientamento giurisprudenziale di legittimità, il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti, deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare. Tuttavia, nel caso di specie, l’appello merita accoglimento siccome non si può non considerare che: le stesse presunzioni e gli stessi fatti posti alla base dell’accertamento impugnato sono stati oggetto di un procedimento penale conclusosi con una sentenza di assoluzione (per insussistenza del fatto);
gli stessi elementi sono stati presi in considerazione ai fini dell’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti.