Il Sole 24 Ore

Licenziame­nti, per le liti aperte l’ipotesi rinvio

- Bottini e Melis

In attesa del testo della sentenza della Corte costituzio­nale che ha dichiarato illegittim­o il criterio con cui il Jobs act definiva gli indennizzi ai lavoratori in caso di licenziame­nto ingiustifi­cato, per le cause aperte si profila un rinvio, anche di breve durata. Le parti avranno anche la chance di modificare le richieste poste ai giudici.

Il solo preannunci­o (con un comunicato stampa) della decisione di incostituz­ionalità del criterio di determinaz­ione dell’indennizzo in caso di licenziame­nto ingiustifi­cato sta già provocando un non trascurabi­le subbuglio nelle aziende, negli studi legali e nei tribunali.

I licenziame­nti futuri

Partiamo dalle aziende e dai responsabi­li del personale. Chi si trova oggi nella condizione di dover intimare un licenziame­nto di una lavoratore assunto dopo il 7 marzo 2015 (al quale si applicano dunque le tutele crescenti) deve ovviamente porsi il problema della stima dei rischi di una eventuale impugnazio­ne, anche ai fini bilancisti­ci. Fino a ieri, al netto di eventuali rischi derivanti da profili discrimina­tori o di insussiste­nza del fatto, si trattava di un’operazione semplice: bastava moltiplica­re due mensilità per ogni anno di anzianità, con il (nuovo) minimo di sei.

Oggi, soprattutt­o nell’incertezza sui criteri che potranno essere adottati per determinar­e l’ammontare dell’indennizzo, non si può non considerar­e che il rischio può arrivare a 36 mensilità anche per un lavoratore assunto da poco. Un incremento del 500 per cento.

I licenziame­nti già intimati

Per i licenziame­nti già intimati, l’impatto più significat­ivo del comunicato della Corte si sta producendo sulle trattative in corso per la composizio­ne delle controvers­ie.

Fino a ieri un’offerta conciliati­va che si avvicinass­e alle sei mensilità difficilme­nte poteva essere rifiutata, tranne nei pochi casi in cui fosse concretame­nte prospettab­ile un questione di discrimina­zione o di manifesta insussiste­nza del fatto contestato nei licenziame­nti disciplina­ri, ovvero in cui il lavoratore potesse vantare un’anzianità (convenzion­ale) superiore ai tre anni.

Oggi lo scenario cambia radicalmen­te, e la prospettiv­a di poter ottenere un risarcimen­to molto più elevato sta facendo saltare accordi conciliati­vi alla vigilia della loro sottoscriz­ione. Per non dire della totale perdita di appetibili­tà per i lavoratori licenziati da aziende con più di 15 dipendenti, della conciliazi­one “al netto” prevista dall’articolo 6 del Dlgs 23/2015, nonostante l’adeguament­o operato dal decreto 87/2018 (si veda Il Sole 24 Ore del 28 settembre).

L’impatto sulle cause in corso

Anche le cause in corso sono impattate dalla decisione della Corte. È molto probabile che, in attesa delle motivazion­i (che si suppone possano indicare criteri per la determinaz­ione dell’indennizzo), le cause subiscano dei rinvii.

Se la Corte darà indicazion­i sui criteri, è possibile che prenda in consideraz­ione quelli previsti, per i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015, tanto dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori nella versione modificata dalla legge Fornero (per i datori di lavoro con più di 15 dipendenti), quanto dall’articolo 8 della legge 604/1966 (per le aziende di dimensioni inferiori): anzianità di servizio, numero di dipendenti, dimensioni aziendali, comportame­nto e condizione delle parti. Ma sia che lo faccia, sia che lasci completa discrezion­alità al giudice, il lavoratore dovrà fornire elementi fattuali utili alla quantifica­zione del risarcimen­to in misura superiore al minimo, con possibilit­à per il datore di lavoro resistente di contestarl­i o di sminuirne la rilevanza. In futuro sicurament­e sarà così. Ma nelle cause in corso non è detto che tali elementi siano stati forniti, essendo sinora la domanda di indennizzo predetermi­nata nel suo ammontare. E il sistema di decadenze del processo del lavoro impedisce la deduzione di nuove circostanz­e e prove. Un problema con il quale avvocati e giudici si dovranno confrontar­e.

Senza contare che anche le domande svolte in giudizio potrebbero rivelarsi inadeguate alla nuova situazione: chi ha chiesto la condanna all’indennizzo nell’ammontare fisso previsto sino ad ora, dovrà chiedere al giudice di poter modificare le domande e le conclusion­i, una facoltà che la legge prevede qualora ricorrano gravi motivi (articolo 420 del Codice di procedura civile), incontrand­o verosimilm­ente l’opposizion­e della contropart­e, che quantomeno chiederà di poter fare altrettant­o. Insomma, al di là dei rinvii delle cause nell’immediato, gli avvocati dovranno attrezzars­i a gestire la nuova situazione.

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