Per l’Iva una strada quasi sempre bloccata
Per qualsiasi forma condonistica o di definizione che dir si voglia, deve perlomeno essere presa in considerazione la questione dell’Iva. Va, infatti, ricordato che la Corte di Giustizia Ue (sentenza 17 luglio 2008, C-132/06) ha ritenuto in contrasto con le disposizioni in materia di Iva quelle italiane sull’integrativa semplice (articolo 8, legge 289/2002) e sul condono tombale (articolo 9 della stessa legge 289/2002) in quanto costituenti «una rinuncia generale e indiscriminata all’accertamento delle operazioni imponibili effettuate nel corso di una serie di periodi d’imposta» (dello stesso tenore, sostanzialmente, l’ordinanza della Corte Giustizia 15 luglio 2015, C-82/14). Secondo i giudici europei, se è vero che «nell’ambito del sistema comune dell’Iva, gli Stati membri sono tenuti a garantire il rispetto degli obblighi a carico dei soggetti passivi e beneficiano, a tale riguardo, di una certa libertà in relazione, segnatamente, al modo di utilizzare i mezzi a loro disposizione», è altrettanto vero che «questa libertà, tuttavia, è limitata all’obbligo di garantire una riscossione effettiva delle risorse proprie della Comunità e da quello di non creare differenze significative nel modo di trattare i contribuenti, e questo sia all’interno di uno degli Stati membri che nell’insieme di tutti loro».
Occorre dire che alle conclusioni dei giudici della Corte di Giustizia la giurisprudenza di legittimità italiana ha attribuito una valenza – o, comunque, una “latitudine” – altalenante. Tant’è che sono dovute intervenire le sezioni unite della Corte di cassazione con due ordinanze e tre sentenze, tutte depositate il 17 febbraio 2010 (le ordinanze n. 3673 e 3675 e le sentenze contrassegnate dai numeri 3674, 3676 e 3677). In sostanza, in queste pronunce la Cassazione ha avuto modo di stabilire che la sentenza della Corte di Giustizia va interpretata restrittivamente e, quindi, risultano certamente incompatibili con il diritto comunitario le disposizioni degli articoli 8 e 9 della legge 289/2002. Tuttavia, la Cassazione ha ritenuto che esiste incompatibilità con il sistema comune dell’Iva anche per le disposizioni della rottamazione che risultava prevista dall’articolo 12 della legge 289, la quale prevedeva il pagamento del 25% dell’importo iscritto a ruolo. Questo in quanto la norma comportava, di fatto, a una rinuncia parziale della riscossione dell’Iva.
La Cassazione ha invece ritenuto compatibili con il sistema dell’Iva le disposizioni sulla chiusura delle liti pendenti (articolo 16, legge 289/2002) in quanto non concernenti la definizione dell’imposta, «bensì la definizione di una lite in corso tra contribuente e amministrazione, in funzione della riduzione in atto, secondo parametri rapportati allo stato della lite stessa al momento della domanda di definizione, garantendo la riscossione di un credito tributario incerto, sulla base di un trattamento paritario tra contribuenti».
Va rilevato che con la sentenza 17 aprile 2015, n. 7852, la Cassazione ha stabilito l’incompatibilità con il sistema dell’Iva anche della sanatoria degli omessi versamenti (articolo 9-bis, legge 289/2002), in quanto si sarebbe evitato il pagamento di sanzioni connesse al ritardato od omesso versamento dell’Iva.