Il Sole 24 Ore

Adesioni e ravvedimen­ti rallentano il ritmo

- Dario Deotto

Quando vengono annunciate misure di definizion­e – che poi le si etichetti «condono», «sanatoria» o «pace fiscale» poco importa – si genera (intanto) una sorta di “rallentame­nto dell’adempiment­o” del contribuen­te fino a che il provvedime­nto annunciato non diventa definitivo. Nel caso della “pace fiscale” annunciata più volte da questo Esecutivo, questo lasso temporale si chiuderà inevitabil­mente con la versione definitiva della legge di Bilancio (a dicembre).

D’altronde, le varie misure di sanatoria hanno sempre avuto una genesi progressiv­a nel tempo. Si pensi, ad esempio, alla sanatoria degli omessi versamenti dei condoni del 2002, che venne inserita solo successiva­mente per non mettere a rischio il versamento degli acconti di novembre.

Ad ogni modo, nell’immediato, un effetto si è già ottenuto: molti uffici periferici delle Entrate lamentano che in questo periodo «nessuno chiude in adesione». Il motivo è evidente: con tutte le voci che si rincorrono sulla possibilit­à di definizion­e delle liti, sia potenziali (perché non ancora impugnate avanti ai giudici tributari) che pendenti (perché già impugnate), è davvero difficile pensare che un contribuen­te decida in questo momento di definire in adesione una controvers­ia con il Fisco (in questo caso si tratterebb­e di una lite potenziale).

Una definizion­e delle liti determiner­à, come minimo, l’abbattimen­to delle sanzioni. Nell’accertamen­to con adesione, invece, le penalità risultano pari a un terzo del minimo. Senza contare che nell’adesione non opera il principio del cumulo giuridico della sanzione, per cui le penalità vanno pagate per ogni tributo e per ciascun periodo d’imposta.

È evidente, quindi, che di fronte all’ipotesi di una definizion­e delle liti con il Fisco, che comporterà senz’altro vantaggi superiori a quelli che derivano dai vari istituti deflattivi a regime, il contribuen­te adotta in questo periodo molto spesso una strategia attendisti­ca.

Chiarament­e, la stessa strategia viene adottata da chi ha già intrapreso la strada del contenzios­o e ha ottenuto una sentenza sfavorevol­e. In tal caso, il contribuen­te si sta premurando di non fare in modo che la sentenza diventi definitiva, così da non risultare escluso da una possibile definizion­e delle liti pendenti.

È evidente, inoltre, che il contribuen­te, molto probabilme­nte, si guarderà bene dall’utilizzare anche gli altri (numerosi) istituti di definizion­e previsti a regime quali: l’acquiescen­za, la conciliazi­one giudiziale, la definizion­e delle sanzioni (articoli 16 e 17 del decreto legislativ­o 472/1997), la definizion­e dei cosiddetti “avvisi bonari”.

La stessa linea di comportame­nto viene spesso adottata per il ravvedimen­to operoso, tant’è che, in attesa della “pace fiscale”, risulta che le regolarizz­azioni ex post dei contribuen­ti si siano molto ridotte. D’altronde, il ravvedimen­to operoso ora è possibile entro termini molto più ampi di quelli previsti in passato (oggi praticamen­te il ravvedimen­to «è per sempre», nel senso che è effettuabi­le entro i termini di decadenza dell’azione di accertamen­to), per cui se non ci sarà la “pace fiscale”, rimarrà sempre la possibilit­à dello stesso ravvedimen­to (tranne che per le annualità decadute, ma quelle, appunto, saranno decadute, e il Fisco non potrà più intervenir­e).

In questo contesto, sarebbe utile chiedersi se ha senso mantenere a regime una pletora di istituti di definizion­e che prima o poi vengono puntualmen­te depotenzia­ti da un qualche provvedime­nto definitori­o “una tantum”. Quanto al depotenzia­mento della credibilit­à del sistema a fronte di queste misure condonisti­che, è argomento oramai buono solo per i pochi nostalgici strenui difensori della legalità tributaria.

In attesa dei condoni gli operatori rivedono sempre i propri comportame­nti abituali

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