I governatori scommettono sugli Its, lo Stato meno
Se sulle politiche attive si viaggia “a ruota libera” da Regione a Regione, sugli investimenti in formazione la situazione nei territori appare un po’ più polarizzata. Con l’80% degli oltre 830 milioni investiti, tramite avvisi nel 2017, indirizzati, quasi ovunque, alla prima formazione, vale a dire quella per l’acquisizione di un titolo. Con una peculiarità. Riguarda gli Its, gli Istituti tecnici superiori, a oggi l’unico canale di istruzione terziaria specialistica non accademico, che appaiono nei piani di ben 12 Regioni, per un importo complessivo di circa 52 milioni di euro (ben quattro volte in più rispetto ai 13 milioni ordinari messi ogni anno a livello statale dal Miur - rifinanziati con 65 milioni nel triennio, con la precedente legge di Bilancio, su input del Mise per spingere industria 4.0).
Il restante 20% dei fondi indicati negli avvisi regionali 2017 è andato invece alla formazione “non ordinamentale”, soprattuttoquellapermanenteecontinua. Anche qui, c’è una curiosità. Il Piemonte,che,loscorsoanno,hainvestito 42 milioni di euro per aggiornare le competenze dei lavoratori.
Nel rapporto su formazione professionale e lavoro curato da Cnos-Fap e Noviter, emerge, anche, come, all’interno del capitolo «Iefp» (Istruzione e formazione professionale) ampio spazio sia stato dato, dagli avvisi regionali, all’implementazione del modello duale, rivisitato appena tre anni fa con la riforma del mercato del lavoro. E che ha portato a una discreta crescita dei contratti di apprendistato di primo livello, che hanno avuto, in tutt’Italia, un’impennata: il 32% in più. Entro i due anni il 79% dei contratti è diventato poi a tempo indeterminato. Un risultato significativo, che si somma alle performance occupazionali, da anni positive, dell’intera filiera «Iefp»: più del 50% dei ragazzi che hanno concluso il ciclo di studi triennale ha trovato un impiego nell’arco dei tre anni.
Residuale, poi, è risultato il finanziamento regionale alle attività di formazione continua, oggi, in realtà, in larga parte appannaggio dei fondi interprofessionali e della bilateralità. Scarsi anche i fondi per i brevi corsi di specializzazione (per esempio, gli Oss, gli Operatori socio sanitari). Per tutti gli anni ’90 hanno rappresentato una linea di intervento significativa. Oggi, invece, è quasi scomparsa.