Il Sole 24 Ore

I giudici rinviano sui licenziame­nti

In attesa del deposito della sentenza, i magistrati sono orientati allo stand by sulle liti relative ai lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015 e già usciti dalle aziende

- Valentina Melis

Appare il rinvio dei giudizi la strada più “gettonata” dai magistrati per le cause aperte sui licenziame­nti dei lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 con il «contratto a tutele crescenti» introdotto con il Jobs act - e già usciti dalle aziende. È questo, infatti, il perimetro delle liti coinvolte dalla pronuncia della Corte costituzio­nale che ha dichiarato illegittim­a la determinaz­ione “rigida” dell’indennizzo in caso di licenziame­nto senza giusta causa o giustifica­to motivo, contenuta nel Dlgs 23/2015 (articolo 3, comma 1). La sentenza sarà depositata nelle prossime settimane: per ora, la decisione resa nota via comunicato il 26 settembre chiarisce che riconoscer­e al lavoratore un’indennità di due mesi per ciascun anno trascorso in azienda consideran­do cioè come unico criterio l’anzianità di servizio - è una previsione contraria ai principi di ragionevol­ezza e uguaglianz­a e in contrasto con gli articoli 4 e 35 della Costituzio­ne. La misura minima e quella massima degli indennizzi sono state ritoccate al rialzo, da sei a 36 mesi di retribuzio­ne (anziché da quattro a 24), dal decreto estivo sul lavoro (Dl 87/2018) e questa forbice resta invariata, anche dopo la pronuncia della Consulta.

Perché prendere tempo

La sentenza di incostituz­ionalità avrà effetto sulle cause per i licenziame­nti aperte in tribunale e anche su quelle già decise in primo grado, per le quali le parti faranno ricorso in appello: si tratta di una parte delle 20mila pendenti.

Così, in attesa della sentenza, alcuni presidenti delle sezioni lavoro dei tribunali interpella­ti dal Sole 24 Ore del Lunedì, spiegano che un breve rinvio delle pronunce sui fascicoli aperti servirà a recepire le indicazion­i della Consulta e a stabilire una linea condivisa fra i magistrati sui criteri da applicare, oltre a quello dell’anzianità del lavoratore. «In alcune cause - spiega Piero Martello, presidente della sezione lavoro del Tribunale di Milano - i giudici avevano già disposto il rinvio delle decisioni in attesa della sentenza della Consulta. Adesso, a maggior ragione, si tratta di una scelta rispettosa della Corte. La sentenza aggiunge Martello - restituirà ai giudici il ruolo di valutare i casi concreti e di stabilire gli indennizzi di conseguenz­a. Sarebbe auspicabil­e un intervento legislativ­o sulla materia per fare chiarezza».

A chiedere un rinvio per poter definire gli indennizzi su basi diverse, anche dopo la pubblicazi­one della sentenza, potranno essere anche le parti coinvolte nella causa, come spiega Marco Buzano, presidente della sezione lavoro del Tribunale di Torino: «Con il ripristino del potere discrezion­ale del giudice, le parti potrebbero avere interesse a documentar­e situazioni utili a influenzar­e la decisione finale».

Criteri diversi per i risarcimen­ti

In ogni caso, i giudici dovranno adottare criteri diversi per definire i risarcimen­ti da attribuire ai lavoratori assunti a tutele crescenti e licenziati senza giusta causa. Criteri che saranno probabilme­nte indicati dalla Consulta ma che si possono rintraccia­re in altre disposizio­ni e sono già usati nei tribunali, ad esempio nell’applicazio­ne dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori per gli assunti prima del 7 marzo 2015: dalla dimensione dell’azienda che ha licenziato, al comportame­nto delle parti. «Ogni caso andrà valutato singolarme­nte e la sentenza della Consulta va in questa direzione - spiega il presidente della sezione lavoro del tribunale di Bologna Carlo Sorgi, che guida un gruppo di sei giudici- ma è giusto confrontar­si tra colleghi per stabilire criteri uniformi».

Al Catania, dove la sezione lavoro conta 10 giudici e 22mila cause pendenti, la presidente Laura Renda punta su una convocazio­ne entro tre mesi delle parti per tentare una conciliazi­one almeno per il contenzios­o nel settore privato: «È ovvio che chi punta a essere reintegrat­o nel posto di lavoro, resiste. Ma vediamo che le aziende sono abbastanza propense a conciliare». E con l’indennizzo al lavoratore che può arrivare fino a 36 mesi, per gli assunti con il contratto a tutele crescenti, la conciliazi­one acquisterà probabilme­nte una marcia in più agli occhi dei datori di lavoro.

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