Atto annullato in Ctp: rimborso da sbloccare
Bocciato il fermo cautelare del credito d’imposta chiesto dal contribuente Per la Ctr Lombardia rileva l’annullamento dell’avviso con sentenza non definitiva
Perché il Fisco possa bloccare il rimborso di un credito d’imposta, va notificato al contribuente un provvedimento motivato che giustifichi il fumus boni iuris della sospensione. Circostanza che può venire meno anche solo con l’annullamento in primo grado dell’avviso di accertamento da cui discende il “controcredito” dell’Erario. È quanto afferma la Ctr Lombardia nella sentenza 3023/14/2018 (presidente Izzi, relatore Vicuna).
Una società presentava, per il 2010, un interpello finalizzato alla valutazione di strumenti finanziari derivati, il cui costo non era stato dedotto nel 2009. La società proponeva il ricalcolo del reddito 2010 mediante dichiarazione integrativa a favore. L’Agenzia negava tale possibilità, ma riconosceva il credito. La società proponeva allora istanza di rimborso, cui il Fisco opponeva il silenzio-rifiuto, impugnato dal contribuente. Il Fisco resisteva, eccependo che doveva disporsi la sospensione del rimborso ex articolo 23 del Dlgs 472/1997, poiché nei confronti della società pendevano due giudizi contro avvisi di accertamento per gli anni 2007 e 2008.
La società si difendeva sostenendo che i ricorsi contro i due avvisi erano stati accolti in toto dalla Ctp, e che la Pa può bloccare il rimborso solo se vanta un credito liquido ed esigibile.
La Ctp accoglieva il ricorso e ordinava il rimborso. Da qui l’appello delle Entrate. La Ctr osserva che il fermo amministrativo del rimborso può essere fatto valere anche nel giudizio d’impugnazione del silenzio-rifiuto purché:
sia stato adottato un formale provvedimento con i requisiti di legge, compresa la motivazione in ordine al fumus boni iuris del credito erariale; il provvedimento sia portato a legale conoscenza del contribuente. Perciò la sospensione non può essere rilevata attraverso una mera eccezione sollevabile nel corso del processo.
La Ctr, richiamando l’orientamento di legittimità, ricorda che la sospensione del pagamento può essere operata in presenza di un credito della Pa, anche non liquido ed esigibile, ed è diretta a un’eventuale compensazione legale di tale credito con quello del contribuente. È una misura cautelare che presuppone l’esistenza di una mera “ragione di credito” e non la provata esistenza del credito (Cassazione, 9853/11 e 4567/04). Tale ragione va assistita solo da fumus boni iuris e non rileva la valutazione sul periculum in mora (1602/07 e 5170/89).
La Ctr osserva che – nel caso di specie– l’Agenzia non ha fornito valide argomentazioni sulla sussistenza del fumus boni iuris, alla luce del fatto che gli avvisi sono stati annullati dalla Ctp. Da qui la bocciatura dell’appello e la condanna del Fisco alle spese di lite.
Peraltro, va ricordato che secondo l’orientamento prevalente della Cssazione, la pronuncia di annullamento dell’avviso da cui derivano le ragioni di credito del Fisco è ininfluente sino al passaggio in giudicato (sentenze 5139/16, 11962/12 e 16535/10). Tuttavia, ci sono giudici di merito secondo cui, avendo la sospensione natura cautelare, ove intervenga una decisione che dichiari insussistenti le ragioni di credito del Fisco, viene meno lo stop al rimborso (Ctp Milano, 4758/2016; Ctp Palermo, 7370/2014; Ctp Reggio Emilia, 170/2009).